Milano 27 Luglio – Questa è una storia in cui prima di tutto e soprattutto va posta la pietà per i defunti. Lo dico qui e lo ripeterò alla fine, massimo rispetto per chi ha tentato di entrare illegalmente in Italia ed è morto di fronte alle spiagge Libiche. Scrivo queste righe non per privarli di quanto dovuto loro, ma per sottrarre la loro dolorosa memoria dalle fauci degli sciacalli che stanno cercando disperatamente di divorarla. Qualcuno di voi forse ricorderà il disastro navale che ha ucciso qualche centinaio di immigrati a qualche decina di miglia dalla costa Libica. Forse qualcuno ricorda anche, magari con un minimo di fastidio, di aver speso una decina di milioni di euro per recuperare l’imbarcazione. Ovviamente ogni minimo accenno di polemica è stato silenziato, coperto dalle urla che accusavano chi sollevava dubbi di essere razzista. In ogni caso abbiamo ripescato il relitto, ed adesso una commissione apposita sta ricostruendo i cadaveri. A che scopo mi è ignoto, la sepoltura in mare mi risulta essere degna, non esistono parenti a cui ridarli e tutta l’operazione mi pare abbastanza sconclusionata. Soprattutto se teniamo conto che stiamo pure facendo l’autopsia a queste povere salme. Non so come la causa della morte possa rilevare, non so come possa essere misteriosa, non so nemmeno quanto possa essere utile dopo aver ricomposto il cadavere, ma tant’è. Probabilmente gli operatori, tutta gente altamente qualificata, quindi di certo non stupida, si è fatta le stesse domande. Interrogato il Ministero, la risposta è stata abbastanza logica. Smantellate tutto e fate sparire le prove di questa operazione, per carità. Ed in fretta, se possibile. Solo che la mente umana è strana. Se ogni mattina che il Signore manda in Terra sei costretto a ricreare cadaveri da un relitto, gli devi fare l’autopsia (scusate se lo ripeto, ma giuro che non mi passa l’idea che stiamo facendo le autopsie a dei cadaveri recuperati in fondo al mare), poi ricomporre il tutto, magari alla fine due domande sul senso della vita te le fai. E sul senso del tuo lavoro te ne fai ben di più. Quindi qualcuno lancia la geniale idea. Siccome abbiamo budget che avanza, perchè non portiamo il relitto da Augusta a Milano. Più di mille km per aprirci un museo. Qui l’articolo di Repubblica da cui traggo la notizia prende la tangente e si avventura in strade inesplorate. Elogia Milano come sede ideale, dice che quei morti faranno un gran bene ai vivi e chiude con una perla rara. Sala è contentissimo. A due piccole condizioni. Che il museo sia vivo. E qui qualcuno deve rassicurarmi: non stava facendo ironia, vero? E’ stato uno scivolone, sì? Ma soprattutto che a pagare sia qualcun altro. Il Comune avrebbe cose un pelino più serie a cui pensare. Già.
Dai su, siamo seri ed onesti. Persino Sala sa che questa cosa sta smettendo di essere gestita razionalmente. Il recupero era un’operazione ideologica. Le autopsie un tributo alla burocrazia cieca e stolta che si chiede come mai 700 siano salite su un peschereccio da trenta posti (ma li hanno contati o stanno continuando ad usare le testimoniante dei sopravvissuti?) siano affondate e soprattutto di cosa siano morte. Ma la creazione ed il finanziamento di un museo del genere è al di là del bene e del male. Abbiamo turbato il risposo e la dignità di questi poveracci, lasciamo che la loro avventura si concluda degnamente, smantelliamo il relitto e mettiamo una pietra sopra a questa follia, almeno fino a quando possiamo farlo. Facciamolo per i disperati, facciamolo per i vivi. Facciamolo per i morti. Ma soprattutto facciamolo per non erigere un monumento all’ipocrisia di chi promette soccorsi impossibili a disperati convinti che a 75 miglia ci sia qualcuno per soccorrerli. Per poi scoprire che non c’è e non ci potrà mai essere. E qualsiasi cosa stiano cercando i medici, posso dirgli io cosa c’è in quegli occhi spenti. L’ultima cosa che hanno visto. È stata la menzogna disumana che li ha fatti salire su quel peschereccio. Ed a cui qualcuno vorrebbe erigere un museo.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,