Solidarietà a Milano: boom delle social street nei quartieri

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Milano 3 Agosto – Via Padova, quartiere «Nolo». In un cortile conteso fra due palazzi, per anni abbandonato all’incuria, i residenti hanno organizzato un cineforum all’aperto. A poche centinaia di metri di distanza, in via delle Leghe, ogni sabato mattina fanno invece pic-nic su un marciapiede: chi porta i cornetti, chi il caffelatte e si siedono lì, «occupando» il suolo pubblico «per il semplice piacere d’incontrarsi». «Abbiamo voluto creare una rete sociale in una zona dove, fino a poco tempo fa, un’identità di quartiere quasi non esisteva» racconta Daniele Dodaro, startupper, animatore su Facebook del gruppo «Nolo social district». Sull’onda del fenomeno-Nolo (acronimo per «North of Loreto») con l’arrivo di giovani e creativi il quartiere ha visto nascere ben tre social-street, due nel giro di un mese, poi riunite. «È sicuramente la novità più interessante nell’ultimo anno sotto il profilo dell’aggregazione spontanea in città, ma non certo l’unica» osserva Cristina Pasqualini, sociologa e docente all’Università Cattolica che, con un team di ricercatori, da tre anni raccoglie dati e interviste sulle strade condivise.

Le vie o quartieri social dove, grazie al web, i residenti si riuniscono in gruppi informali all’insegna del buon vicinato, sono esplose sotto la Madonnina. In due anni il team di Pasqualini ne ha censite 71, per un totale di oltre 27 mila iscritti. Milano supera Bologna, città in cui nacque la prima strada condivisa nel 2013 (gli «Amici di via Fondazza»). Guida la classifica per numero d’iscritti via Paolo Sarpi (4.785) seguita da via San Gottardo (3.893) e Lambrate (2.482). I Municipi con la maggior concentrazione? Il 3, il 4 e il 6 (vedi la mappa). Non tutte riescono a fare il «salto» dal web alla realtà, certo; una decina sono da considerarsi clinicamente morte, o cessate. Nelle altre, in compenso, è un tripudio di cittadinanza attiva: dal bookcrossing agli aperitivi, ai cleaning day, giornate di pulizia collettiva dei quartieri, al baratto di cose e competenze, le iniziative non si contano. In via San Gottardo-Meda, attorno alle rovine del palazzo esploso per la fuga di gas del 12 giugno in via Brioschi, civico 65, qualcosa si muove. Gli abitanti del quartiere hanno indetto una raccolta fondi per gli sfollati. «È nata così, spontaneamente. Abbiamo già consegnato i primi soldi all’amministratore». E oltre alla colletta per gli sfollati dell’esplosione, si sono inventati dei tour guidati alla (ri)scoperta del quartiere. «Sono momenti bellissimi in cui i residenti più storici, magari anziani, mettono a disposizione la loro memoria collettiva su luoghi o eventi identitari per il quartiere, ma anche sulle criticità» spiega Fabio Calarco, consulente aziendale, amministratore del gruppo Facebook. «A loro volta, poi, beneficiano delle competenze dei giovani i quali, ad esempio, si offrono come insegnanti volontari in corsi di informatica base, di enorme successo fra gli anziani».

Lo sharing (senza economy) di informazioni e competenze, del resto, è in cima alla classifica degli argomenti più discussi in rete. Dei 13.253 post pubblicati, monitorati da Pasqualini e dalla sua équipe, solo 192 erano invece dedicati al tema sicurezza. «Segno che la spinta che sta dietro al fenomeno non è legata a un senso di insicurezza dei cittadini, ma semmai a uno spirito costruttivo, una voglia di ricreare un tessuto sociale che, in molte zone, era andato sgretolandosi» osserva Pasqualini. Risultato: il 58 per cento degli iscritti alle strade condivise milanesi dichiara di avere «ampliato il proprio giro di conoscenze nella via»; il 46 per cento si ferma più spesso per strada a chiacchierare con i vicini; il 77 per cento si dice «più disponibile» a impegnarsi in modo attivo per migliorare la qualità del quartiere in cui vive. Il fenomeno ha ricevuto anche il like di Palazzo Marino, con tanto di delibera ad hoc approvata ad aprile. Lo scopo: costituire un registro ufficiale dei «gruppi informali di cittadinanza attiva». Segno che «l’amministrazione ha capito il valore sociale di queste realtà che — conclude Pasqualini — pur non costituendosi in forma associativa, vogliono operare in accordo con la città». Registrandosi, le social street potranno attivare convenzioni e richiedere autorizzazioni. Insomma: essere riconosciute.

Davide Illarietti (Corriere)

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