Milano 4 Agosto – Via Lazzaro Palazzi, Milano. Siamo affacciati su Corso Buenos Aires davanti ai bastioni di Porta Venezia, là dove il capoluogo lombardo diventa “Milan l’è un gran Milan”. Oltre a essere una delle zone visceralmente meneghine, questo quadrilatero ospita da tempo immemore le comunità del Corno d’Africa. Basta buttarsi tra le vie per sentire il richiamo di Addis Abeba, quella che cantavano i Disciplinatha. Un richiamo che riporta alla mente la colonizzazione operata dall’Italia durante il Ventennio capace di creare un legame con l’Eritrea, l’Etiopia e la Somalia in vita tutt’oggi. Ma l‘immigrazione porta sempre situazioni di decadenza e disagio per la popolazione costretta a subirla. Così oggi in questo lembo di marciapiedi e strade si sono accampate decine di africani, immigrati irregolari, che bivaccano in cerca di una meta.
Peppino C. è il titolare del ristorante “La Luna Piena”, situato proprio in via Palazzi, e ci racconta di una situazione ingestibile. “Sto sopportando questo fenomeno migratorio, ma è chiaro che vogliono farmi chiudere”. Peppino è un pugliese, di Trani, che vive a Milano da 40 anni e ha fatto della ristorazione la sua passione e la sua vita. Oltre ad essere finito “spesso sui media”, in questi anni ha denunciato la presenza massiccia e non regolarizzata di eritrei, etiopi e somali in zona. Uomini e donne, ma sopratutto giovanissimi che vivono, letteralmente, accampati davanti alle attività commerciali della via. “C’è chi specula sull’immigrazione e questa situazione va a vantaggio di chi vive nell’illegalità. Ma io ho il diritto di difendere la mia azienda”. Fanpage nel passato lo ha criticato per i suoi cartelli, in cui invitava il Comune milanese a ripristinare una situazione di normalità, arrivandosi a chiedere se questo imprenditore fosse razzista. L’assurdità di quest’epoca. Quando difendere i propri diritti diventa sinonimo di intolleranza, un vizio tutto politicamente corretto.
“Ho un rapporto splendido con la comunità africana presente qui in zona, tanto da far parte del Comitato Italo-Africano di liberazione Porta Venezia. Anche i rappresentanti della comunità eritrea si lamentano di questo via vai, di questi assembramenti che mettono in cattiva luce anche chi in Italia ci vive da decenni”. Palazzo Marino ha problemi d’udito e, fin dai tempi di Giuliano Pisapia (la situazione è iniziata un quinquennio fa), ha preferito ignorare il disagio dei commercianti e dei residenti della zona. Parliamo chiaro: nel Corno d’Africa non esiste nessuna guerra, dunque chi vola, naviga o cammina verso il nostro Paese non lo fa in qualità di profugo, ma abbandona la sua nazione in cerca di un avvenire migliore. Pilotati dalla folle logica descritta da Marx per la costruzione di un “esercito industriale di riserva”. “Uno vive con la paura, paura delle proprie istituzioni che non esitano a definirmi razzista. Ma in questo modo ho perso una fetta importante dei miei clienti e per l’anno 2014 sono in corso accertamenti, da parte dell’Agenzia delle Entrate, sulla mia attività. Accertamenti che seguono la scriteriata logica degli studi di settore. Qui da me non viene più nessuno a mangiare e le tasse le ho sempre pagate”.
Il presidente del Comitato di quartiere Buenos Aires, Paolo Uguccioni, conosce da tempo la condizione di Peppino e di tanti altri come lui. “Gli eritrei vengono a Porta Venezia perché parlano solo il tigrino – idioma utilizzato in Eritrea ed Etiopia, ndr – e scappano dalla loro terra natia per non fare il servizio militare e migliorare il loro stile di vita. Gli stessi connazionali che vivono a Milano sono seccati da questa situazione, perché siamo difronte ad immigrati clandestini. Tanti dei parenti di questi individui vivono nel nord Europa, ma con le frontiere chiuse sul Brennero, in Svizzera e a Ventimiglia non riescono ad espatriare”. In questa situazione si sviluppa un clima dicriminalità. “Tramite money transfer viene inviato danaro a chi cerca di raggiungere i propri parenti e così si crea un business dell’immigrazione. Business che coinvolge i ‘passatori‘ che si occupano di fornire documenti e passaggi ai clandestini”. Lo scenario è cambiato anche a livello anagrafico e siamo davanti a giovani, per non dire giovanissimi. “L’età si aggira tra i 13 e i 20 anni ed il Comune di Milano non se ne occupa. I minorenni dovrebbero essere tutelati in qualsiasi caso”. Nulla facenti e nulla tenenti. “Bighellonano tutto il giorno e di conseguenza possono cadere nel giro della prostituzione ed in quello dello spaccio. Per questo motivo in questi giorni scriveremo al Prefetto, al Sindaco e al Questore per far valere le nostre ragioni e le nostre proposte in modo da riqualificare la zona”. Il problema droga è parecchio annoso. “Non sono eritrei, ma magrebini che si muovono in bicicletta, con estrema comodità e rapidità, in viale Tunisia. Spacciano a italiani creando situazioni che spesso sfociano in risse ed aggressioni”. Con l’assessore ai Servizi sociali, Pierfrancesco Majorino, i canali sono aperti. “Ha inquadrato la situazione in maniera lentissima, ma finalmente sembra aver capito. Prima pensava fossero solamente dei poveri cristi“. Profugopoli intanto continua, gli africani sono stanziati davanti ai portoni e vivono di stenti. “Milano ha già dato, non è possibile accogliere più nessuno. Come possiamo pensare di aiutare queste persone con la disoccupazione giovanile al 50%?”. Quesiti legittimi.
Il centro che diventa periferia, l’umanità come zombie di Romero affastella le città rendendole cartoline di un mondo perfetto per il Kali Yuga decantato da Julius Evola. L’età oscura dell’Occidente che ha deciso di sacrificarsi sull’altare dell’accoglienza indiscriminata.
Lorenzo Cafarchio (L’Intraprendente)
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