Milano 20 Agosto – Al numero 116 di Corso Garibaldi sorge la chiesa di Santa Maria Incoronata, uno dei monumenti più importanti della Milano quattrocentesca.
In questo articolo vi raccontiamo tre curiosità sulle chiese gemelle di Milano: la costruzione testimonia non solo l’opera dei padri agostiniani in città, ma anche il colpo di genio di una moglie tradita; inoltre, ospita un affresco raro dell’iconografia cristiana.
Le origini della chiesa
Il complesso dell’Incoronata sorge nel luogo dove venne fondata la piccola chiesa di Santa Maria di Garegnano nel XV secolo; è costituito dalla chiesa, da due chiostri, dalla Biblioteca Umanistica e da ciò che rimane di un antico cenobio agostiniano. Nel 1445 la Congregazione Lombarda dell’ordine di Sant’Agostino avviò alcuni lavori per ampliare il convento. La ristrutturazione terminò nel 1451, anno in cui Francesco Sforza venne insignito dell’investitura a duca di Milano: per questo i padri agostiniani modificarono il nome della chiesa in “Incoronata”.
Il colpo di genio di una moglie tradita
Era il 1460 quando Bianca Maria Visconti, moglie del Duca Sforza, stanca delle voci sui continui tradimenti del marito, decise di tacitarle in modo plateale: la duchessa ordinò di celebrare pubblicamente l’amore e la fedeltà della coppia facendo edificare una seconda chiesa intitolata a San Nicola da Tolentino al lato di quella esistente. La facciata venne quindi raddoppiata e l’unione delle due chiese diede vita all’Incoronata come oggi la conosciamo: a due navate terminanti con absidi poligonali, sulle quali si aprono le sei cappelle laterali. Figlia illegittima di Filippo Maria Visconti, Bianca possedeva un’abilità politica fuori dal comune: i cronisti dell’epoca la descrivono come colta, intelligente e acuta.
Un affresco raro
Nella prima cappella, detta del Bergognone, è possibile ammirare un affresco risalente alla seconda metà del XV secolo: è Il torchio mistico, opera di Ambrogio da Fossano.
Scoperto nel 1930, raffigura un tema raro nell’iconografia cristiana, Cristo sotto il torchio. Nell’opera, che rappresenta il sacrificio eucaristico, il Salvatore è nel tino dell’uva, la croce diventa la pressa del torchio e il mosto, sangue delle ferite di Gesù, viene raccolto in un calice come fosse vino dai Padri della Chiesa, e cioè Agostino, Girolamo, Ambrogio e Gregorio. (Il Giorno)
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