Milano 29 Agosto – Io c’ero al Cab 64, quando il duo Cochi e Renato debuttò con Jacqueline Perrotin al pianoforte. Cantavano anche un repertorio di canzoni in argot, ispirando simpatia e risate.
Pozzetto esibiva una bella voce tenorile, Cochi puntava sulla gestualità, ma c’era già tutta la comicità spontanea che esplose poi al Derby. E sulla milanesità del loro sentire non si poteva discutere. Erano già originali, imprevedibili, sinceri. Riproponiamo l’intervista a Renato Pozzetto di Fabio Florindi pubblicata da Il Giorno per ricordare il grande attore: “ Ha cominciato col cabaret, creando un duo indimenticabile con Cochi, e poi ha debuttato nel cinema, recitando in più di 60 film. Renato Pozzetto, 76 anni, Milano ce l’ha nel sangue. Non solo perché qui ha vissuto e si è formato artisticamente, ma anche perché molti dei suoi successi cinematografici, come ‘Il ragazzo di campagna’, ‘Lui è peggio di me’ e ‘Un povero ricco’, sono ambientati sotto la Madonnina.
Qual è il suo primo ricordo di Milano?
«Sono figlio della guerra. La casa dei miei genitori venne bombardata nel ’42 e scappammo a Gemonio, nel Varesotto. Tornammo a Milano dopo sei anni, ricordo le nostre valigie di cartone. Andammo ad abitare vicino piazzale Corvetto, al pian terreno, in un alloggio popolare, quelle che allora venivano chiamate “casa minime”. Dopo qualche anno ci trasferimmo verso piazzale Abbiategrasso. Eravamo poveri, non avevo i soldi neppure per un biglietto del tram…».
Che scuola ha frequentato?
«L’Istituto per geometri Carlo Cattaneo in piazza della Vetra».
Era uno studente “casinista’’?
«Diciamo che ogni anno me la cavavo sempre per il rotto della cuffia. Avevo più amici fuori che dentro la scuola. Cochi, ad esempio, è un mio amico d’infanzia».
Come vi siete conosciuti?
«Le nostre famiglie erano sfollate entrambe a Gemonio e si conobbero lì. Io e Cochi, che eravamo piccolissimi, diventammo subito amici. Una volta tornati a Milano abbiamo continuato a frequentarci. Strimpellavamo con la chitarra e andavamo al bar Gattullo, in porta Lodovica. È lì che abbiamo conosciuto artisti del calibro di Jannacci, Gaber e Fo. Passavamo il nostro tempo anche all’Osteria Oca d’Oro».
Il primo spettacolo di cabaret?
«Io e Cochi ci siamo esibiti al Cab 64 in via Santa Sofia. Poi Jannacci ci ha proposto di andare a lavorare al Derby».
E il successo è andato via via crescendo, fino allo sbarco in televisione e al cinema…
«L’arrivo in tv non è stato fulmineo, è avvenuto adagio. Prima abbiamo fatto 9 anni di cabaret».
A suo avviso quale è stato il suo miglior film?
«Non saprei sceglierne uno. I primi con Celentano ambientati a Milano, ma anche ‘Un ragazzo di campagna’, un film che conoscono anche le nuove generazioni».
C’è qualche pellicola che non rifarebbe?
«Più di una. Non rifarei, ad esempio, le Comiche. Ero entrato in un modo che non mi apparteneva, erano film tagliati su Paolo Villaggio, ma non erano adatti al mio personaggio».
E oggi che cosa fa Renato Pozzetto?
«Ho realizzato uno spettacolo teatrale, “Siccome l’altro ha un impegno’’, dove ci sono parentesi di cinema con spezzoni divertenti dei miei film. È un mix con cabaret, canzoni e chiacchierate con il pubblico. La gente ride molto. Ho debuttato al Teatro Nazionale di Milano in punta di piedi. Ho fatto sei repliche e adesso farò un tour».
Attualmente dove vive?
«Mi divido tra Milano, dove abito vicino ai miei figli in via Santa Croce, e Laveno, sul Lago Maggiore, dove ho aperto una locanda con ristorante e 20 camere. A Milano il mio riferimento è rimasto il bar Gattullo, dove ancora vado a prendere il caffè o l’aperitivo».
C’è una battuta, che tutti ricordano in molti dei suoi film, diventata leggendaria...
«Penso di aver capito a quale allude».
Me la repete solo una volta?
«Eh la Madonna!»
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