L’economia di condivisione condivide anche le fregature

Attualità

Milano 6 Settembre – Sul Blog dell’Istituto Leoni è apparso l’ultimo, in ordine cronologico, articolo entusiasta sull’economia di condivisione. Questa economia si basa sull’idea che si possono scambiare beni e servizi, creare comunità di acquisto o semplicemente fare scelte non immediatamente economicamente soddisfacenti per dei buoni motivi. Pare una cosa rivoluzionaria. Tanto da far pensare all’autore quanto potrebbe essere bello se questo portasse ad una economia di comunità basata sull’Etica. Tutto molto bellissimo (licenza poetica). Poi purtroppo apri la Genesi, scopri il problema del libero arbitrio, la mela, Adamo ed Eva e ti ricordi che nel mondo esiste il peccato. Oppure, apri un libro qualsiasi di un economista liberista e ti accorgi di alcuni piccoli problemi. In primis, che era già tutto scritto. Andiamo per punti.

  1. L’equivoco del valore. Per i marxisti (e molti di voi) il valore è qualcosa di oggettivo che dipende da fattori di produzione, costi, allineamenti cosmici o oroscopi Mongoli. Questo è falso. Per me una pigotta vale moltissimo, perché salva una vita. Idem per la stella di Natale dell’Ail. Per questo io sono disposto a pagarle di più. Per cui, se credo nella condivisione, sono anche pronto a prendermi i disagi di un tizio sul divano sapendo che un giorno sarò il tizio sul divano di un altro. Funziona, per carità. Ma non è una novità. È che, semplicemente, prima i metodi per fidarsi erano scarsissimi. O meglio, nel novecento, con l’industrializzazione di massa, la recisione dei rapporti di vicinato, la spersonalizzazione erano venuti a mancare. Nelle campagne era prassi comune aiutarsi a fare lavori pesanti. Con internet si è ricostruita la fiducia. Su basi irrazionali, va detto.
  2. Già, la fiducia. Internet si basa su protocolli scritti da fricchettoni fuori tempo massimo che non sentivano il bisogno di domandare al tizio dall’altra parte del cavo di identificarsi. Oggi abbiamo nomi utente e password, ma sono costruzioni successive e posticce. Infatti non funzionano. Non esiste un’identità digitale. Quindi, quando si dice che Internet permette di condividere e di fidarsi, si dice una solenne castroneria. La prima cosa è sicuramente vera. La seconda è sicuramente falsa. È che, all’inizio, con grosse attenzioni e gruppi piccoli il sistema tiene. Con sistemi molto grandi gestisci il rischio finanziariamente. Ma non c’è spazio per economie intermedie, né per quelle grandi senza grosse disponibilità finanziarie. E comunque ci sono sempre dei piccoli problemi.
  3. L’autore del post, Emilio Rocca, ha investito sui bitcoin. Per fortuna non li aveva conservati su mt.gox o su bitfinex. Perchè altrimenti, condivisione o meno, avrebbe perso tutto. I bitcoin sono qualcosa che aspirava ad essere una moneta virtuale, ma ha sempre funzionato, per il grande mercato, come delle azioni su cui speculare. Gli unici ad usarli come moneta sono i libertari e gli spacciatori. Ed hanno dimostrato plasticamente quanto poco la società se ne faccia della condivisione quando qualcosa funziona. Certo, la moneta funziona male. Non è una novità. Ma almeno quando pagate la pizza sapete quanto l’avete pagata davvero. Un privilegio che il bitcoin non offre.
  4. Per concludere, l’economia di condivisione va benissimo. Se può accedere all’economia tradizionale e monetaria. Altrimenti diventa un’altra utopia.
  5. Cosa c’entra lo Stato Etico in tutto questo? Nulla. L’Etica è individuale. Se a gestirla è lo stato può generare solo fallimenti. Sempre cose già viste e già sentite.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.