Milano 7 Settembre – Una piccola clausola in apertura. Come moltissimi Veneti ho un rapporto conflittuale con la nostra bandiera. Non è una questione storica, né tanto meno politica. È che non siamo un popolo simpatico ed il resto dell’Italia, soprattutto del centro sud non fa molto per nasconderlo. E siamo molto permalosi, per un sacco di buone ragioni. Per cui verso il tricolore abbiamo un sentimento di antica diffidenza. Eppure, in mattinate come quella che descriverò, anche la diffidenza si supera. Si dimentica il referendum farsa che annesse il Veneto all’Italia e lo spoglio sistematico del nostro territorio.
Oggi tornavo dalla spesa fatta in via Adriano. Via Adriano è uno dei buchi neri dell’amministrazione Pisapia. Cinque anni di degrado tollerato hanno portato ad una situazione di far west. Ci passo ogni settimana da tre anni e la situazione è peggiorata gradualmente ma sistematicamente. La verità è che la via è l’emblema della periferia estrema, come via Rizzoli poco lontano. Quindi interessa poco. Adesso il Comune sta partecipando al bando periferie del Governo per portare a casa diciotto milioni. Vedremo come finirà. Fino a quando quei soldi non si vedranno, via Adriano sarà l’ultima frontiera della civiltà. Non devo essere l’unico a pensarlo, evidentemente. All’incrocio con via Padova si stanno ristrutturando due immobili. I lavori sono quasi finiti. Ed un operaio ha pensato di attaccare un tricolore al palo della luce che segna l’incrocio. È una scelta strana, controcorrente. Via Padova è il laboratorio multietnico di Milano. Ovvero il posto dove hanno disperati contro poveri a scoprire chi dei due sarebbe fuggito prima. Se è fisiologico che in una città succeda, con il centrodestra al potere qualcuno interveniva a proteggere vita, sicurezza e proprietà. Con Pisapia, il massimo a cui si poteva assistere erano le parate multietniche con la giunta in visibilio. Dopotutto via Padova era il meglio di Milano, no? Ecco, alla fine dell’orgia ideologica, alla fine della via, alla fine di una calda estate ed alla fine dei lavori qualcuno ha piantato un tricolore in via Padova. Forse per dire che la riconquista, talvolta, inizia con un muro tinteggiato di fresco a la ferma volontà di combattere perché resti bianco.
Il tricolore, negli ultimi anni, è diventato il simbolo della rivolta silenziosa contro la stupidità buonista. Silenzioso, onnipresente ed irremovibile. L’ho visto sventolare sull’ultima casa abitata da Italiani in via Anelli a Padova. Ve la ricordate quella dove un sindaco ex Pci, Zanonato, fece erigere un muro per prendere gli spacciatori? Ecco, l’ultimo Italiano che viveva là aveva il tricolore come segno della resistenza civile al degrado, che non cede e non fugge. Molto dopo che lo Stato si era arreso, la Patria continuava la sua lotta.
L’abbiamo visto sventolare nelle mani di un avvocato durante la manifestazione dei Black Block, l’anno scorso a Maggio. L’ultimo ed il primo. L’ultimo segno di civiltà contro la barbarie ed il primo passo per la riconquista della città alla civiltà. Lo abbiamo visto ad Amatrice ed a Rio, quando ci siamo riscoperti tutti Italiani. Perchè siamo fatti un po’ così. Criticamente feroci, ma ci commuoviamo di fronte ai simboli. Soprattutto a quelli di rinascita.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,