Milano 10 Settembre – Questa è una triste storia e riguarda l’intero fallimento di un comparto, come quello immobiliare, che più di tutti ha subito il flagello del nostro tempo. Non parlo della crisi. Parlo dello Stato. I contorni della vicenda li delinea molto bene Repubblica:
Il bando di Fondazione Fiera proprietaria del Portello risale al 14 ottobre 2014. La missione: trovare un inquilino in grado di cambiare il volto di questo pezzo di città che accoglie chi entra a Milano in autostrada. Da allora sono passati 694 giorni. E anziché risolversi la vicenda semmai si è ingarbugliata. Perché in quasi due anni di tempo l’accordo per la rinascita del Portello è sfumato già due volte: un anno fa con l’eclatante dietrofront del Milan e oggi con il gruppo Vitali che due giorni fa si è sfilato un paio d’ore prima della firma decisiva. Due fughe, una definitiva e l’altra si vedrà, in un’operazione immobiliare e urbanistica dai contorni improbabili. E che lasciano ancora un buco nero sul futuro dell’area.
L’analisi è tipicamente Repubblicana. Cattivi, cattivi privati che non sapete che farvene del timpano di Bellini (no, non quel Bellini) che dovrebbe essere la facciata della città e volete solo fare profitto. Bene fa la Fondazione Fiera a continuare a cercare gente seria. Gente seria. Già. Dobbiamo essere precisi sul tema, perché altrimenti non ci capiamo. Non è questione di serietà investire du quei 30 mila mq. È, semplicemente, follia. Non parlo della posizione, della rendita, del piano industriale. Parlo del panorama in cui si inserisce. Del clima che si respira. Delle aspirazioni del contorno. Due esempi al volo. Il dopo Expo a Rho doveva essere delle multinazionali che aprivano sede in Italia. Siamo finiti a chiedere, a supplicare oserei dire, di avere un’Agenzia Europea. I privati, con tutta evidenza, qui non ci vogliono stare. Un’altra scena di questi giorni è il test di ammissione all’accademia Apple, la prima in Europa, che non raggiunge i 500 preiscritti previsti. Da contrapporsi alle file kilometriche per entrare nelle professioni che danno lavori statali, tipo medicina. Professioni degnissime, ovviamente. Ma sempre statali.
Tagliamo corto, non mi metterò nemmeno a parlare delle tasse sugli investimenti immobiliari, le tasse sul possesso degli immobili, le tasse sul lavoro di chi li deve costruire, quegli immobili. Tacerò anche delle normative sulla sicurezza del lavoro, dei lavoratori, dei sindacati, del posto di lavoro dei passacarte che sul tuo lavoro campano. No, la verità è che questo non è un paese per liberi imprenditori. Nemmeno per uomini liberi. E ce ne beiamo, sia chiaro. Godiamo quando viene multata la Apple, perché non si è voluta far taglieggiare da noi. Godiamo quando qualche imprenditore fallisce per il peso del fisco. Poi, però, talvolta ci vogliono i privati per salvare il Portello. Ed a quel punto ci rendiamo conto che, fatto il deserto, non possiamo chiamarlo nemmeno pace.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,