Milano 18 Settembre – E finì che Confindustria smentì Confindustria. E Boccia bocciò Boccia. È bastato veramente poco perché le stime drammatiche sul Paese in caso di vittoria del No al referendum venissero confermate a prescindere dall’esito del referendum, testimoniando che no, la consultazione elettorale (comunque vada) non avrà alcun effetto sulla stabilità e la competitività del Paese.
Un paio di mesi fa l’associazione degli industriali lanciava l’allarme sull’appuntamento di quest’autunno, sottolineando che, qualora avesse trionfato il fronte del No, “la ripresa sarebbe a rischio”, il Paese in recessione, condannato a un abisso economico senza precedenti: -4% di Pil in soli tre anni, crollo del 12% degli investimenti, -600mila posti di lavoro e 430mila nuovi poveri. Mancavano solo l’invasione delle cavallette e la peste bubbonica e lo scenario apocalittico era completato…
Oggi però Confindustria si accorge che, qualunque sia il risultato del referendum, il Paese resterà comunque in una situazione drammatica, destinato non solo a non crescere e star fermo, ma addirittura a regredire, bloccato nel Pil, negli investimenti, nella ripresa produttiva generale, in aumento solo per quanto riguarda il deficit. E così se il centro studi di viale dell’Astronomia rivede al ribasso già le stime di crescita per quest’anno (ridotte a un misero 0,7% del Pil, rispetto all’1,2 promesso dal governo), è ancora più pessimista per quanto concerne l’anno prossimo, quando il referendum sarà cosa ormai superata: nel 2017 – avverte Confindustria – la ripresa sarà ferma allo0,5% (cioè due decimali meno di quest’anno) e il deficit si attesterà al 2,3%, ben lontano dall’1,8% stimato dal governo.
E dire che fino all’altro ieri il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, si era endorsato a favore del Sì al referendum con tanto di esplicita argomentazione: “Il nostro appoggio al referendum è in ragione della stabilità del governo come una precondizione necessaria per realizzare un’agenda di medio termine di politica economica che serve alla competitività”. Tradotto dal politichese, il Sì al referendum e alle riforme costituzionali è l’unica garanzia per assicurare stabilità e quindi crescita e competitività al nostro Paese. Be’, se lo scenario è quello di una crescita dello 0,5 a prescindere, viene fortemente da dubitarne. Anche perché davvero non si capisce che diavolo ci azzecchi il taglio di un centinaio di senatori e la trasformazione del Senato in un dopolavoro in cui qualche sindaco e consigliere regionale, non si sa con quale competenza, avrà la possibilità di votare leggi e trattati sull’Europa, con la tenuta e lo sviluppo di un Paese in serio affanno.
Certo, la Confindustria la butta anche sul lungo termine, per addebitare le colpe della mancata crescita a un quindicennio di politiche economiche inadeguate (dal 2001 saremmo cresciuti appena dello 0,5%, a differenza della Spagna che ha accresciuto il Pil del 23,5%) e quindi per mettere alla gogna anche (e soprattutto) Berlusconi, che di quel periodo è stato il dominus. Ma la verità è che Boccia si è accorto di aver riposto troppa fiducia nelle magnifiche sorti successive a una vittoria del Sì. E allora si è auto-smentito. Tanto, in tempi renziani di promesse annunciate e negate il giorno dopo, si fa così. Gli italiani hanno memoria corta e non si ricordano, deve aver pensato….
Gianluca Veneziani (L’intraprendente)
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