Eutanasia infantile, ovvero l’eutanasia del diritto

Esteri

Milano 20 Settembre – La notizia recentissima che in Belgio si sia appena consumato nelle Fiandre il primo atto eutanasico su minore, come riportano le principali agenzie stampa, secondo quanto prevede la procedura legalizzata dalla legge belga del 2014.

Purtroppo i dettagli circa la patologia e l’età del minore non sono ancora conosciuti, tuttavia delle riflessioni di carattere giuridico ed etico possono essere proposte considerando la gravità dell’evento.

In primo luogo e preliminarmente una notazione di carattere storico, dato che risulta falsa l’idea che quello del Belgio sia il primo caso di eutanasia infantile al mondo; in senso assoluto non lo è, vista l’esperienza maturata sotto il regime nazionalsocialista in cui molto si usò e si abusò della pratica dell’eutanasia infantile, come riporta la storica Alice Ricciardi von Platen: «La scelta della tecnica per l’uccisione pietosa era lasciata al medico inviato da Berlino, il quale aveva certamente ricevuto direttive nel senso di praticare trattamenti volti all’addormentamento[…]. Un bambino fortemente idrocefalo, con una ridotta capacità di vita, può essere addormentato già con una dose di Luminal inferiore alla dose massima, mentre per un bambino in migliori condizioni cardiache è necessaria una dose maggiore di Luminal e se la somministrazione è continua, è sufficiente la dose massima per addormentare irreversibilmente il piccolo paziente. Nell’arco di alcuni giorni il bambino dorme molto tranquillamente e non muore per avvelenamento[…]. Il bambino muore per il sopravvenire di un ristagno polmonare e quindi per le complicazioni cardiache e polmonari: di questo muore».

In senso relativo, in quanto già da un decennio in Olanda sono attivi i cosiddetti “Protocolli di Gröningen”, varati ad opera del dott. Eduard Verhagen, per la soppressione volontaria di minori che versano in stati patologici cronici, ingravescenti o terminali, ma le cui “maglie” sono così effettivamente ampie da poter giustificare un qualunque motivo, compreso il disagio psicologico.

Ciò considerato in chiave storica vi sono almeno due motivi principali per cui l’eutanasia, specialmente quella infantile, risulta essere sostanzialmente anti-giuridica nonostante l’ordinamento di uno Stato l’abbia legalizzata.

Il primo motivo è di carattere giuridico e riguarda il principio di autonomia che spesso viene invocato quale elemento portante della legittimazione dell’eutanasia.

Come ha puntualizzato Derek Humphry, infatti, «è questo l’obiettivo ultimo per la nostra società occidentale: combattere per la più estrema delle libertà civili, il diritto di scegliere quando e come morire».

Nel caso dell’eutanasia infantile, però, proprio il principio di autonomia viene leso dalla stessa pratica eutanasica, non solo e non tanto perché un minore non è in grado di valutare correttamente la portata della propria malattia e quindi dell’eutanasia, ma in quanto essa è applicata su richiesta dei genitori, quindi secondo una logica di eteronomia e non già di autonomia.

Viene da chiedersi, tuttavia, se effettivamente sia possibile immaginare un diritto dei genitori di disporre della vita e della morte dei propri figli.

In una società, in cui il diritto viene identificato con il potere del più forte, in questo caso i genitori, la risposta non può che essere affermativa, ricalcando, del resto, lo stesso schema valoriale del caso dell’aborto, come ricorda di recente lo stesso Verhagen a proposito di eutanasia neonatale: «L’eutanasia perché non dovrebbe essere ammissibile come alternativa all’interruzione di gravidanza nel secondo trimestre?».

Sotto l’aspetto etico, invece, non si può fare a meno di rilevare che la soppressione di un minore affetto da una qualunque patologia, oltre che riproporre in chiave liberale e privatistica la mentalità eugenetica che tra XIX e XX secolo era stata pensata come facoltà pubblica delle istituzioni statali per preservare l’integrità biologica della società, trasforma e deturpa il ruolo del medico proprio a discapito dei più fragili in assoluto, cioè i minori in stato di malattia.

Il medico, infatti, nel caso si prestasse a somministrare la morte tramite eutanasia infantile sovvertirebbe l’ordine del rapporto fondato sull’alleanza terapeutica e, in sostanza, l’etica della cura, cioè quella per cui è chiamato ad agire per l’altro e non contro l’altro, cioè per vita altrui e non contro la vita d’altri.

Ecco perché il padre della medicina occidentale, Ippocrate di Kos, ha così sancito nel suo celebre giuramento: «Farò uso delle misure dietetiche per il giovamento dei pazienti secondo il mio potere e il mio giudizio e mi asterrò da nocumento e da ingiustizia. E non darò neppure un farmaco mortale a nessuno per quanto richiesto né proporrò un tale consiglio».

L’eutanasia infantile, insomma, si dimostra sostanzialmente illecita tanto sotto l’aspetto etico, quanto sotto l’aspetto giuridico, perfino se è una legge di uno Stato ad averne sancito la possibilità, poiché non tutto ciò che la legge consente è di per se stesso giusto secondo quanto tramanda la tradizione giuridica occidentale che da Antigone in poi non fa più coincidere il diritto con il comando dell’autorità, ma con quello della ragione e della natura.

Non a caso Tommaso d’Aquino ha insegnato che: «Perciò una norma ha vigore di legge nella misura che è giusta. Ora, tra le cose umane un fatto si denomina giusto quando è retto secondo la regola della ragione. Ma la prima regola della ragione è la legge naturale. Quindi una legge umana positiva in tanto ha natura di legge, in quanto deriva dalla legge naturale. Ché se in qualche cosa è contraria alla legge naturale, non è più legge, ma corruzione della legge naturale».

L’eutanasia, specialmente quella infantile, in conclusione, costituisce l’eutanasia del diritto stesso poiché sostituisce alla ragione l’arbitrio dimenticando, esizialmente, la preziosa ed insostituibile lezione di Sergio Cotta: «Il diritto non può violare il principio della inviolabilità dell’innocente senza negare la propria essenza di regola giusta per trasformarsi in violenza. Là dove per legge (in questo caso, davvero, atto di pura “volontà politica”, come si usa dire oggi) diventa lecito uccidere un innocente, s’instaura infatti l’arbitrio, ossia la licenza di compiere o di non compiere a proprio piacimento un atto dannoso per altri».

Aldo Vitale (Tempi)

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