Milano 22 Settembre – Mi verrebbe quasi da dire che l’Italia un Presidente del Consiglio così lo merita appieno. Uno senza vergogna, politicamente parlando. Ha ripetuto ai quattro venti che il suo Italicum dotava finalmente la nazione della migliore legge elettorale possibile e che l’Europa ce l’avrebbe invidiata: di più, che sarebbe stata adottata in tutti i Paesi del Continente. Sempre ai quattro venti ha gridato che la sua riforma costituzionale era essenziale e vitale nella sua strategia e pertanto egli legava indissolubilmente il Governo e la sua stessa carriera politica all’approvazione della riforma stessa: o cambio la Costituzione o mi ritiro a vita privata, diceva agli intimi e al popolo. Come gl’Italiani hanno potuto constatare negli ultimi giorni, il premierino ha cambiato opinione, ma non del tutto. Oscilla tra le smentite e le riconferme. Le une e le altre edulcorate in modo da riservarsi sempre una via di fuga, da perfetto politicante municipale. Eccone le varianti: l’Italicum è un’ottima legge (non più la migliore), ma si può migliorare (sic!); non sono contrario a cambiarla; mi presentino delle proposte; però il nucleo centrale non si tocca; io non cambio idea, ma, se il Parlamento ne vuole un’altra diversa, può farla; si deve sapere la sera stessa chi ha vinto e governa, eccetera. Su quest’ultimo punto bisogna dire che Renzi e Boschi sono patetici perché non esiste nessuna legge elettorale che nasconda chi vince e chi perde per effetto del voto, dal momento che si vota proprio per deciderlo.
Con l’Italicum, se nessuna lista supera il 40 per cento dei voti, il vincitore, per definizione, non c’è perché si va al ballottaggio per il premio; il ballottaggio aggiudica il premio alla lista, ma non insedia il Governo, perché nel sistema parlamentare il capo dello Stato nomina e il Parlamento conferma il Governo. Il premierino e la ministrina vogliono dire obliquamente un’altra cosa, e cioè che il Governo, con l’Italicum, lo elegge il popolo e dunque il sistema diventa di fatto presidenziale senza esserlo nella forma: cripto-presidenzialismo contro pseudo-parlamentarismo. Sennonché questa trasformazione truffaldina della Costituzione è appunto la riforma che loro spudoratamente negano di aver voluto realizzare e di aver realizzato. La ministrina, affamata di costituzionalismo, è giunta a dichiarare che “non è in discussione la forma di governo: tutta la prima parte della Carta resta immutata” (Corriere della Sera, 20.09.2016). La prima parte, come sanno le matricole di legge, concerne i diritti e doveri dei cittadini!
Quanto all’avvenire politico e personale dei due governanti, l’ineffabile premierino e la sua ministrina hanno fatto macchina indietro: ora non se ne andranno dal Governo (del destino personale non parlano neppure più!) se la riforma costituzionale sarà bocciata dagl’Italiani. Ora, per dimettersi, pretendono la sfiducia dal Parlamento. Se no, no. Le giravolte di governanti del genere, se l’Italia fosse un paese serio e con una stampa all’altezza, dovrebbero comportare una dura condanna morale e politica, ed almeno una palese, se non drastica, indignazione dell’elettorato. Invece, tali comportamenti, su questioni di capitale importanza, vengono registrati come normale dialettica, come se non avessero niente a che fare con l’affidabilità di un presidente del Consiglio e di un ministro. Vengono persino riguardati come machiavellica astuzia.
Pietro Di Muccio de Quattro (L’Opinione)
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