Milano 23 Settembre – “Non si possono lasciare a piedi centinaia di migliaia di persone, bloccando il trasporto aereo e le città. È grave che una minoranza poco numerosa condizioni la vita di intere collettività, quando la stragrande maggioranza dei lavoratori ha opinioni diverse. Dobbiamo darci nuove regole, intervenendo sulla legge in materia di diritto di sciopero e sugli accordi di settore. Stiamo parlando con le Autorità dei Trasporti e con l’Autorità di garanzia sugli scioperi, subito dopo assumeremo le decisioni del caso”. Era il 30 aprile 2015, e così parlava il ministro Delrio, in un’intervista sul Messaggero a Osvaldo De Paolini.
Che cosa è stato di quell’impegno? Si è perso per strada. Certo, eravamo nell’imminenza di EXPO, e subito dopo lo sciopero che aveva visto chiuso senza preavviso gli scavi di Pompei. Poi è venuto il Giubileo a Roma, e l’idea di estendere la moratoria milanese agli scioperi portò allo scontro sindacati e Autorità di settore, con tanto di ricorso a precettazioni. Mentre domani è previsto un nuovo sciopero di 24 ore indetto in Alitalia da alcune sigle sindacali. Dopo che sempre su Alitalia Delrio ha disposto il differimento dello sciopero del 25 luglio, il TAR ha annullato la decisione di Delrio, e il ministro Alfano l’ha dovuta ribadire d’autorità, addirittura “per motivi di ordine pubblico”. A conferma che il problema resta totalmente irrisolto, purtroppo. Delrio ha detto che valuterà se precettare i lavoratori che intendono domani bloccare i voli. Ma un fatto è certo: da tempo immemorabile occorre intervenire sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e di trasporto, ma la politica, anche se ne annuncia la volontà, poi non ha il fegato di farlo davvero. C’è sempre un turno di elezioni amministrative o un referendum a breve, in vista del quale non rischiare consensi.
La vicenda Alitalia conferma quanto abbiamo scritto molte volte. La compagnia aerea, che nel 2015 ha perduto ancora mezzo milione di euro al giorno, è impegnata con Etihad nel difficile sforzo di fronteggiare il morso delle compagnie low cost, che ormai con Norwegian e Pegasus nel mercato europeo si estendono anche ai voli intercontinentali. Di qui la necessità di contenere i costi, ottimizzare il feederaggio del breve raggio al servizio del lungo, estendere ulteriormente le destinazioni estere. Ma Cgil, Cisl e Uil hanno firmato il 18 settembre un accordo con l’azienda su numerosi punti pendenti in relazione al trattamento del personale navigante (comprese le tariffe simboliche dovute quando usa vettori della compagnia). Mentre Anpac, Anpav e USB non hanno firmato e hanno confermato lo sciopero di domani. “Una pura follia”, la ritiene l’amministratore delegato della società, Cramer Ball. E ha ragione, visto che i sindacati dovrebbero sapere quante lacrime e sangue è costata a noi tutti nei decenni la compagnia, mentre ora bisogna fare l’impossibile perché torni a produrre utili.
Piccolo particolare: l’Anpac rappresenta meno del 20% del personale Alitalia. Nell’intervista al Messaggero di 17 mesi fa, Delrio si diceva favorevole ad adottare la regola di un referendum preventivo tra i lavoratori per indire lo sciopero nel trasporto pubblico, con un tetto minimo di favorevoli del 50,1%. Noi la pensiamo come il ministro allora. Ma lui e il governo, invece, come la pensano oggi?
E’ noto che in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali vige la legge 146 dl 1990, emendata successivamente, che insieme agli accordi tra sindacati e imprese di trasporto fissa dei limiti sulle fasce di garanzia da offrire al pubblico, sui tempi minimi di preavviso, e sulle procedure di “raffreddamento” conciliativo delle vertenze. In Italia, per via di quella legge, non sarebbero possibili gli scioperi a oltranza del settore pubblico che avvengono annualmente in Francia, o quello di sette giorni che bloccò a lungo le ferrovie in Germania. Però quella legge, e gli accordi bilaterali tra sindacati e imprese di trasporto, nulla dicono della rappresentanza minima dei sindacati e-o della necessità di far votare preventivamente i lavoratori, superando nel referendum una certa soglia di consenso, per poter indire uno sciopero. E’ questo il punto più delicato che occorre finalmente affrontare. Sappiamo che il governo ha in corso con i sindacati trattative delicate, dalle pensioni al rinnovo dei contratti pubblici. Ma non è una buona ragione per non mettere mano a quest’altra questione fondamentale: quali nuove regole porre, perché ogni venerdì di ogni settimana un sindacato minore non firmatario degli accordi con le aziende non s’inventi uno sciopero dei trasporti, come a Roma per molto tempo è stata la regola?
L’industria privata con Cgil, Cisl e Uil, hanno firmato a gennaio 2014, dopo 3 anni di confronto, un protocollo interconfederale che fissa con precisione le soglie sopra le quali i sindacati si siedono ai tavoli contrattuali nazionali e aziendali, si firmano accordi che a quel punto sono validi ed esigibili erga omnes, e si ha diritto a godere dei diritti sindacali. Con la riforma Madia della PA e l’unificazione in 4 soli comparti del pubblico impiego, si sono poste le basi per un’analoga disciplina della rappresentanza anche nel mondo pubblico. Ma il diritto di sciopero resta escluso dalle soglie per firmare contratti e renderli esigibili. Al contrario, bisogna disciplinare esplicitamente tale materia. Bisogna costruire un mondo delle relazioni industriali pubbliche in cui l’esigibilità delle intese da parte di tutti i lavoratori deve valere innanzitutto se la maggioranza dei rappresentati da sindacati firmatari vi si riconosce, e a quel punto le sigle minoritarie dissidenti non possono indire scioperi.
Tuttavia sappiamo anche che la giurisprudenza della Corte costituzionale è unanime, nel ritenere il diritto di sciopero come prerogativa del singolo lavoratore, non devoluta alla mera decisione della rappresentanza sindacale. Ci sono stati casi in passato di scioperi promossi dal basso attraverso sms nei confronti dei quali ogni intervento di precetto risultò impossibile, proprio perché la giurisprudenza riconosce che l’esercizio della tutela costituzionale dello sciopero si intesta a ogni singolo lavoratore. Non è così altrove, in Germania, Svezia, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, dove è un diritto dei sindacati. Ma proprio perché lo sciopero è diritto dei singoli lavoratori, serve un voto preventivo dei lavoratori per poterlo indire. Il 50,1% dei voti serve a contemperare il diritto dei lavoratori con il rispetto dei diritti dei cittadini e della collettività. E del resto il criterio del voto sugli scioperi vige in 17 paesi su 28 paesi europei, tra cui Danimarca, Germania, Olanda, Portogallo, Regno Unito, in tutti i paesi est europei e baltici. Solo fissando il criterio nei servizi pubblici di un voto preventivo favorevole del 50,1% dei lavoratori si verrà a capo di situazioni impazzite come quella del trasporto pubblico nella Capitale, bloccata innumerevoli volte da microsigle. E per chi non rispetta le regole, servono sanzioni in solido pesantissime.
Caro ministro Delrio, dunque, riprenda in mano la questione su cui si era espresso con tanta chiarezza.
Oscar Giannino (Leoni Blog)
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