Milano 24 Settembre – La traiettoria del cambiamento tentato di questi anni sembra la tavola del gioco dell’oca, con quella maledetta casella che ti rimanda sempre al via. Dove a muovere le pedine però c’è sempre lui. Arcore non sarà la reggia di Versailles ma il Re Sole del centrodestra esiste davvero. Inossidabile, nonostante l’età e i malanni non proprio banali, i dispiaceri rosso-neri e le quasi-sconfitte elettorali, le antipatie dei giudici e l’avversione delle élite malmostose che si ritrovano al Forum di Villa d’Este e aDavos, le difficili famiglie da gestire. Martedì Salvini, mercoledì Parisi. Giovedì, forse, gnocchi. Al maschile. Le cose stanno così: alla fine tutte le ipotesi, le opzioni, le speranze di rimettere in piedi un centrodestra decente passano ancora dalla leadership di Silvio Berlusconi. A dare retta a Nando Pagnoncelli, almeno i due terzi degli elettori di centrodestra, del resto, rimangono convinti che la rinascita del centrodestra non possa che passare da lui. Un po’ meno tra “gli incerti”, i delusi e i perplessi, quelli che negli ultimi tempi hanno lasciato nel cassetto la tessera elettorale. Ma quelli schivano ancora di più le alternative ipotizzate dai sondaggisti, come Giovanni Toti, Stefano Parisi e Renato Brunetta.
Che cosa si siano detti con Matteo Salvini non è in realtà chiarissimo. L’impressione è che tra i due corrano troppe differenze, generazionali, persino antropologiche, perché possa esserci un dialogo vero. Salvini è uno che in politica non ha bisogno di scenderci perché ci ha sempre sguazzato fino dalla nascita, mentre lui si sente una specie di Cincinnato, convinto di poter trasfondere nelle istituzioni da lui guidate la stessa filosofia del successo sperimentata negli affari e nello sport. Lo provano le “raccomandazioni” rivolte a Stefano Parisi nella visita ad limina del day after. La convenzione di Milano non deve essergli piaciuta un gran che: troppo professorale, persino noiosa.Troppe facce conosciute nelle prime file della platea. Ancora di meno deve essergli piaciuto però lo sciame di mugugni della vecchia classe dirigente del suo partito: troppe diserzioni di gente che, obbiettivamente, si nota di più quando non c’è, come nel film di Nanni Moretti, troppe perplessità esibite a denti stretti e con perifrasi da prima repubblica. Avanti tutta, allora, con un po’ di berlusconismo in più: esplorare la società civile e il popolo dei moderati, mettersi sulle piste di nuovi testimonial di successo, a costo di praticare la rottamazione in casa propria.
Berlusconi di nuovo al centro, dunque. Il tempo stringe e persino Matteo Renzi si è reso conto che sarebbe meglio per tutti se la politica italiana potesse contare su un partito in grado di parlare almeno per una parte significativa di quel trenta percento di italiani che le rilevazioni demoscopiche si ostinano a definire di centrodestra. Per esempio per coinvolgerlo nella discussione sulla legge elettorale. Del resto, in un sistema tripolare, la vecchia “politica dei forni” teorizzata da Andreotti e che a Renzi piacerebbe tanto praticare è possibile solo se l’area moderata smette di essere un ectoplasma smarrito e diviso o un campo di conquista aperto alle incursioni degli altri. Ma forse i tempi lunghi impliciti nella metodologia scelta da Berlusconi con l’incarico affidato a Parisi non sono frutto del caso o di una semplice distrazione. È possibile invece che il Cavaliere sia convinto che fino a quando la scena sarà occupata da Renzi non ci siano le condizioni per uno showdown. Meglio aspettare che si consumi il suo logoramento, con l’aggravarsi della crisi economica, magari attraverso una forzata retromarcia sull’Italicum e una possibile sconfitta nel referendum. Stare seduti sulla riva del fiume, insomma, aspettando che passino le spoglie politiche del nemico. Che tanto nemico, in fondo, non è, visto che ha saputo raccogliere una parte della sua eredità programmatica e persino del suo stile comunicativo e che, per questo, ha persino vampirizzato una parte dell’area del consenso moderato. Di più, è possibile che Silvio Berlusconi si auguri che lo spazio già presidiato da Forza Italia possa venire occupato da un movimento, da qualcosa che nasca dal basso più che dall’appeal dei luogotenenti. Ma che, naturalmente, accetti di collocarlo nel posto più alto del proprio pantheon.
Emilio Russo (L’Intraprendente)
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