Milano 27 Settembre – Molti cittadini milanesi ricorderanno che, nel giugno 2011, quasi in concomitanza con le elezioni che diedero il via alla tragica rivoluzione bolscevica che avrebbe portato al governo della città una pletora di supponenti radical chic con ubbie vetero comuniste, si svolsero cinque referendum consultivi in materia ambientalistica.
Nell’insieme, si trattava di quesiti ispirati a quei fanatismi ecologisti che ormai da cinquant’anni ammorbano la società occidentale, figli di una (neanche tanto, la visione elitaria del potere è analoga) strana convergenza tra le tesi propugnate da movimenti ispirati alle più intransigenti teorie malthusiane e darwiniste e finanziati dal grande capitale americano (Rockfeller, Gates. Turner) e quelle provenienti dall’ultrasinistra europea (specie quella tedesca e francese sessantottina e post sessantottina), alla disperata ricerca di altri ambiti nei quali riproporre l’ideologia marxista, difficilmente difendibile già negli anni sessanta.
In una parola, il solito polpettone ideologico, insieme catastrofista e utopistico, pieno di tanto irrealizzabili quanto “buone” (almeno in apparenza) intenzioni e proposte di facile presa sulla popolazione: a chi non piacerebbe una città bucolica in cui le mamme anziché lavorare portassero i bambini in giro per i prati fioriti a fare pic nic e inseguire farfalle e i bravi bambini aiutassero le mammine a pulire l’insalata appena colta nell’orto, rigorosamente biologico?
La realtà, chiaramente, è un’altra cosa, ma non per tutto quel sottobosco associativo professionalmente votato all’estremismo avverso al capitale (altrui) e le amministrazioni da happy hour da esso espresse.
In ogni caso, di quegli assurdi quesiti ora vanno ricordati il primo e il quinto, perché descrivono bene l’incompetenza delle amministrazioni comunistoidi che governano la città.
Il primo era quello, un po’ vago, ammiccante e tendenzioso, roba da far apparire dilettantesca la formulazione vergognosamente propagandistica di quello costituzional – renziano il quale si terrà nei prossimi mesi, che riguardava (anche) l’istituzione di quella tortura viabilistica oggi nota come “Area C”.
Il quinto, invece, riguardava, seppur in modo generico, fumoso e inconcludente (facilmente strumentalizzabile), la possibilità di restaurare la Darsena (i cui lavori erano comunque stati iniziati dal centrodestra ed erano bloccati per beghe legali poi vinte dal Comune) e di riaprire i Navigli, sicuramente nella parte tra Darsena e Conca di Viarenna, ma, si presume, anche quelli della cosiddetta fossa interna, progressivamente tombinati a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo.
I quesiti furono approvati, rispettivamente, con il 79,12% su una percentuale di votanti del 48,99% degli aventi diritto e con il 94,32% su una percentuale di votanti del 49,07% degli aventi diritto.
Il problema, che denuncia tutta l’insipienza dell’amministrazione Pisapia, è che, dei due, soltanto il primo ebbe un seguito reale, posto che uno dei primissimi provvedimenti della giunta arancione fu la trasformazione del già criticabile Ecopass morattiano nella mostruosa e vessatoria Area C. Il tutto, tra l’altro, contestualmente all’aumento del costo del biglietto ATM da un euro a un euro e mezzo (un aumento del cinquanta percento in un colpo solo!) e alla progressiva riduzione delle corse dei mezzi pubblici, nel numero e nella frequenza, al punto che, durante le assurde “domeniche ecologiche”, sulla M1 si sono registrate attese anche di trenta minuti. Mai viste prima.
E in ogni occasione in cui cittadini o opposizione abbiano provato a contestare l’assurdità di Area C, l’amministrazione ha sempre risposto, con supponenza e arroganza, che era stata solo prestata attenzione alla volontà dei cittadini: del resto, né i dati sull’inquinamento, né quelli sul traffico hanno mai fornito una solida giustificazione all’esistenza dell’Area C. Ma siccome, evidentemente, per sostenere le assurde spese della giunta arancione gli introiti derivanti da essa erano indispensabili, la si è gabellata come risposta ad una precisa richiesta dei cittadini.
Peccato che l’altra istanza dei cittadini, e cioè la riapertura dei navigli, per giunta approvata con percentuali decisamente maggiori rispetto a quella relativa ad Area C, sia stata sistematicamente disattesa, al punto che, nel completare i lavori di restauro della Darsena, non è stata neppure operato il restauro della Conca di Viarenna, pure espressamente richiesto nel quesito referendario.
Soltanto negli ultimi mesi dell’amministrazione Pisapia, quando il Sindaco uscente aveva già deciso di sottrarre il suo operato al giudizio popolare non ricandidandosi e il PD si appropriava, per la campagna elettorale, di opere realizzate dalle precedenti amministrazioni di centrodestra (gli strumenti urbanistici per la riqualificazione dell’area di Porta Nuova, che pure troneggiava nei manifesti elettorali del PD, risalgono ai tempi di Albertini…), è stato commissionato un fumoso e contorto studio di fattibilità in merito alla possibile ricostruzione della “fossa interna”, cioè quella che corrisponde all’attuale linea ATM 94.
Un gigantesco vaniloquio puramente di facciata, uno sguaiato e scomposto tentativo di dimostrare ai milanesi che l’amministrazione uscente la quale, sindaco a parte, si ripresentava compatta alle elezioni, realizzava la tanto sbandierata “partecipazione” dei parte dei cittadini non solo quando c’era da incassare facilmente soldi a spese dei lavoratori e in danno dei più poveri. Sapendo bene che il problema sarebbe stato rinviato alle legislatura seguente e scaricato su chi avesse vinto le elezioni.
Ebbene, di pochi giorni fa il grottesco annuncio del neo Sindaco Sala: nel 2017 si terrà un referendum relativo della riapertura dei Navigli. Un altro.
Sull’inopportunità di riportare le lavandaie in via De Amicis, dove per altro l’amministrazione attuale già non riesce a gestire il traffico creato dai cantieri della ben più utile M4, si è già detto molto: la città, a causa anche della ricostruzione del dopoguerra, non ha più la fisionomia che si vede nelle pittoresche foto d’epoca; Milano si è sviluppata per ottant’anni senza un complesso sistema di canali nel già angusto centro; la cerchia dei Navigli è uno snodo viabilistico fondamentale, prima che per il traffico privato, per il trasporto pubblico, taxi compresi; la maggior parte degli edifici che si affacciano sulla cerchia, oggi, ha accessi pedonali, ciclabili e carrabili proprio sulle vie della cerchia stessa, ci sono parecchi alberghi e perfino un distributore di benzina. Per inseguire una fantasia anacronistica e antistorica li si obbliga a chiudere? Per per non parlare degli anni di caos che una follia del genere regalerebbe: per costruire una città dalla presunta attrattiva turistica – ma le amministrazioni attuali, anziché cercare di vendere queste scemenze ai cittadini, dovrebbero pensare a curare i canali tuttora esistenti come la Roggia Boniforte di via Argelati, ridotta da anni ad una latrina -, come se la Milano attuale non ne avesse, piuttosto si elimini la tassa di soggiorno introdotta proprio dall’amministrazione arancione, si bloccherebbero le attività commerciali ed i servizi per un numero imprecisato di anni.
Ma, ferme restando tutte queste (e molte altre ) perplessità sull’idea, la questione che qui rileva è un’altra: è evidente che con questo ennesimo, inutile e ripetitivo referendum (ma allora quello del 2011? Che ne dicono gli assessori transitati dalla precedente giunta all’attuale?), l’ex braccio destro della Moratti e Commissario Expo, che evidentemente non sa o non vuole opporsi al suo attuale “padre” politico Renzi, mentre Milano viene invasa da migliaia di sedicenti profughi (cui prodest?) per i quali la ricettività della città è del tutto insufficiente, cerca di convogliare l’attenzione, anziché sui problemi reali che interessano la cittadinanza sempre più in difficoltà, su assurde fantasie che possono davvero riguardare soltanto i benestanti radical chic. Questi ultimi, probabilmente, non dovendo correre affannosamente tutti i giorni per mettere insieme il pranzo con la cena, mentre pontificano della povertà nel mondo possono impiegare, per percorrere la cerchia dei navigli, le sette ore necessarie ai barconi per superare le sette conche di navigazione della fossa interna, contro i circa venti minuti attualmente impiegati dall’autobus 94. Meno poetico e romantico, ma infinitamente più pratico per la gente che non ha tempo di inseguire ubbie ideologiche.
Milanese di nascita (nel 1979) e praticante la milanesità, avvocato in orario di ufficio, appassionato di storia, Milano (e tutto quel che la riguarda), politica, pipe, birra artigianale e Inter in ogni momento della giornata.
Mi improvviso scribacchino su Milano Post perché mi consente di dar sfogo alla passione per Milano e a quella per la politica insieme.