Milano dimenticata, un viaggio tra i 10 luoghi scomparsi di una città da ricordare

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Milano 3 Ottobre – Un accurato viaggio tra i luoghi scomparsi di Milano, per ricordare con un po’ di malinconia o conoscere meglio la città. L’Amarcord, dettagliato, storicamente puntuale è pubblicato con servizio fotografico da Il Giorno

Antichi quartieri abbattuti che ora farebbero la fortuna (anche economica) di Milano, palazzetti all’avanguardia demoliti dopo una nevicata (ma che nevicata!) e un piccolo zoo con elefanti, leoni e foche nel centro della città. Sono questi alcuni dei luoghi dimenticati – e più o meno amati – del capoluogo meneghino. Un viaggio per scoprire cosa rappresentavano e l’evoluzione di quelle aree. Un percorso, a volte malinconico e nostalgico, per comprendere meglio lo sviluppo urbanistico di rioni e approfondire la storia delle vie di Milano che vengono percorse freneticamente ogni giorno da migliaia di persone. E, in alcuni casi, per sorprendersi di ciò che resta.bottonuto

1 – Il Bottonuto Il vero rimpianto urbanistico di Milano è il Bottonuto, l’antico quartiere medievale collocato tra piazza Duomo e via Larga, nella zona attuale di piazza Diaz e vie attigue. La zona, fino agli anni Trenta era occupata da strette vie, antiche botteghe e alberghi, alcune chiese e antichi resti. Certo, il luogo era descritto da tutti come malsano e mal frequentato – avevano sede i bordelli popolari della città –, ma si svolgeva la vera vita di Milano. Oggi, riqualificato, sarebbe con ogni probabilità uno dei quartieri più ricercati e suggestivi d’Europa. Una nota interessante: nel Bottonuto, in via Paolo da Canobbio, aveva sede “Il Popolo d’Italia”, quotidiano fondato da Benito Mussolini. La sede divenne meta di pellegrinaggio delle scolaresche italiane nel corso del Ventennio.

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1 bis – Il BottonutoLa distruzione del quartiere – pittoresco e malfamato – prese il via all’inizio degli anni Trenta con il progetto che avrebbe poi portato a piazza Diaz e a una strada a scorrimento veloce, per realizzare la quale fu smantellata l’antica chiesa di San Giovanni in Conca. Le opere, lasciate a metà per decenni, vennero completate solo alla fine degli anni Cinquanta, modificando il progetto. Ma cosa resta del Bottonuto? Oltre al ricordo dei pochissimi bambini dell’epoca ancora in vita, una piccola porzione di case in via Paolo da Canobbio, il retro del grande albergo in piazza Diaz e, soprattutto, l’obelisco di San Glicerio. Il monumento votivo in granito era infatti posizionato all’interno dell’antico quartiere a ricordo di pestilenze. E’ stato ricollocato in via della Marina, dove ora si trova.

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2 – Il Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi Molti milanesi hanno fatto in tempo a fare tappa al Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi, divenuto spazio congressi e meeting nel 2002. La struttura fu realizzata nel 1924 a pochi passi dall’antica fabbrica del ghiaccio Frigoriferi Milanesi, che serviva l’Ortomercato. La creazione della pista di pattinaggio, la più grande tra quelle coperte in Europa, fu fortemente voluta dalla Società pattinatori e poi utilizzata dai membri della stessa. Il complesso Frigoriferi Milanesi è diventato un caveau privato sotterraneo, nelle vecchie sale di refrigerazione è ancora visibile il carroponte necessario per spostare i grandi blocchi di ghiaccio.

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2 bis – Il Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi La struttura del Palazzo del Ghiaccio è oggi divenuta un moderno spazio eventi e sfilate di moda, non ospitando più partite di hockey e spettacoli di pattinaggio. La tribune degli spettatori non ci sono più, sostituite con aree congressi e punti bar e ristorazione. La pavimentazione bianca è composta da una speciale resina, utilizzata per richiamare il ghiaccio del glorioso passato. In ogni modo le serpentine refrigeranti sono rimaste intatte sotto la superficie. C’è ancora la speranza di rivedere volteggiare qualche virtuoso coperto-figinidel ghiaccio, come avveniva nel secolo scorso.

3 – Il Coperto dei Figini Il Coperto dei Figini, una costruzione porticata del Quattrocento sulla destra del Duomo, ha il diritto di essere inserita tra i luoghi dimenticati di Milano per eccellenza, anche per il suo ruolo centrale nella vita della città per molti secoli. Sotto i porticati, citati in testi storici o immortalati da letterati – avevano sede innumerevoli botteghe e bar storici meneghini. I tributi degli ambulanti sotto il Coperto, riscossi dalla Fabbrica del Duomo nel Quattrocento, permisero di far proseguire la costruzione del Duomo di Milano. Insomma, anche dal punto di vista storico e architettonico, il Coperto dei Figini ha avuto un ruolo chiave per la città.

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3 bis – Il Coperto dei Figini Il grande porticato e i locali costruiti sopra di esso furono abbattuti nel 1865, nonostante i milanesi fossero particolarmente affezionati alla piazza. L’Italia era fatta da pochi anni e Milano aveva necessità di nuovi respiri urbanistici che potessero rendere più ampia la piazza principale. Per questo si decise la demolizione del Coperto, insieme a quella del quartiere del Rebecchino (situato all’interno di piazza Duomo!). Il progetto fu affidato all’architetto Giuseppe Mengoni e avrebbe dovuto anche valorizzare la nascitura Galleria Vittorio Emanuele, opera del Mengoni stesso.

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4 – Il Borgo Pirelli Borgo Pirelli, 27 palazzine per i capi operai e i dirigenti, nacque nella zona della Bicocca tra il 1920 e il 1923. Le casette con giardino sorgono nell’angolo tra viale Sarca e via Emanueli. La “Bicocca degli Arcimboldi”, villino nobiliare di metà XV secolo nato come casino di caccia e luogo di villeggiatura della famiglia borgo-pirelli-bisArcimboldi, è il vero simbolo del quartiere milanese ed è stata acquistata nel 1918 dalla Pirelli. Negli ultimi cento anno la palazzina storica è divenuta il luogo di rappresentanza della Pirelli.

4 bis – Il Borgo Pirelli All’interno della Bicocca, nella zona del Borgo Pirelli, è rimasto ancora – tra le villette Liberty – il “Casone”, struttura di quattro piani che ospitava al piano terra i negozi del quartiere Bicocca nel periodo industriale e abitazioni nei piani superiori. Il condominio ha resistito a tutto il Novecento e, oggi, è diventato un tratto carratteristico dell’ex area industriale Pirelli, a poche decine di metri dalla sede universaria nata alla fine degli anni Novanta.

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5 – Il Palazzo dell’Informazione Commissionato da Mussolini stesso all’architetto Giovanni Muzio, il Palazzo dell’Informazione era destinato a ospitare la redazione del Popolo d’Italia con uffici e tipografia. Anche l’artista Mario Sironi diede il proprio contributo con i gruppi scultorei e, all’interno, con un grande mosaico. Nei sotterranei era invece collocata la rotativa, donata da Hitler al Duce. Il primo direttore, Benito Mussolini, entrò nel 1942. La redazione chiuse nel luglio del 1943. Al termine della guerra il palazzo ospitò numerose testate giornalistiche italiane e straniere, tra le quali proprio “Il Giorno”.

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5 bis – Il Palazzo dell’Informazione I principali cambiamenti risalgono a metà degli anni Settanta con la profonda ristrutturazione, lo smantellamento delle rotative e la riorganizzazione degli spazi. In quegli anni erano numerose le testate che avevano sede nel palazzo di via Cavour, collocato in una posizione strategica per seguire i pusterlaprincipali avvenimenti meneghini. Il piano interrato, una volta sede delle rotative tedesche, dagli anni Novanta è sede di una palestra. Con il trasferimento de “Il Giorno” e la cessione dell’immobile da parte dell’Eni, la struttura è divenuta di proprietà di un gruppo bancario.

6 – La Pusterla dei Fabbri L’ultima delle pusterle, le antiche porte minori nelle mura milanesi, fu abbattuta a inizio Novecento. La Pusterla dei Fabbri, collocabile oggi al termine di via Cesare Correnti, ha una lunga storia, che prende il via a inizio Trecento e prosegue nei secoli, tra tradizioni pagane e riti cristiani. Il nome deriva dalla presenza delle botteghe dei fabbri ferrai nella zona lontana dall’abitato a causa del chiasso impossibile da contenere nella lavorazione dei metalli e della necessità di utilizzare le acque del Naviglio.

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6 bis – La Pusterla dei Fabbri La prima proposta per la demolizione della Pusterla dei Fabbri arrivò in Comune nel 1877, ma fu bocciata. La battaglia durò qualche decennio e, nel 1900, il consiglio decise per motivi viabilistici di distruggere l’antica porta perché divenuta “un cumulo di macerie dalle linee semplici”. In difesa della porta si schierò il pittore scapigliato Luigi Conconi che, ironizzando, scrisse di “smontare anche le Piramidi, perché di linee semplici e di intralcio alla circolazione”. Ma qualcosa della Pusterla dei Fabbri è sopravvissuto: l’arco che si affacciava sui campi è stato ricostruito nei Musei del Castello Sforzesco.

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7 – Il Palasport di San Siro Un impianto avveniristico abbattuto a seguito dei danni di una nevicata memorabile. Il Palasport di San Siro, area cooperta dedicata a sport e concerti, fu inaugurato a metà anni Settanta e utilizzato fino al 1985 quando, a seguito della grande nevicata di gennaio, rimase danneggiato nella copertura. Il palazzetto era uno dei più grandi del mondo e poteva contenere 18mila spettatori. Collocato a poche decine di metri dallo stadio Meazza, formava con l’impianto di calcio un grande polo sportivo. Il Palasport fu anche il primo grande impianto con forma a conchiglia, ripresa poi a Calgary e ad Atene in palazzetti utilizzati nei giochi olimpici del 1988 e del 2004.

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7 bis – Il Palasport di San Siro Pochi giorni dopo la nevicata, il Palasport avrebbe dovuto ospitare il primo concerto italiano degli U2. Per far fronte agli appuntamenti musicali già in programma fu eretto un tendone poco distante, divenuto poi il PalaTrussardi. Si decise in modo per molti inspiegabile, dopo anni di abbandono e dopo la decisione di puntare su un nuovo palazzetto (il Forum di Assago), di demolire il Palasport. L’area è stata lasciata senza destinazione, divenuta poi un piccolo bosco cittadino e, infine, deposito per il materiale di scarto nella costruzione della nuova linea metropolitana milanese. Una curiosità tra le numerose che custodisce il fantasma del palazzetto: al Palasport di San Siro suonarono per due serate consecutive, nel settembre 1984, i Queen. Furono gli zoounici concerti italiani della band di Freddie Mercury.

8 – Lo zoo dei giardini di Porta Venezia Nato nel 1923 e chiuso nel 1992, lo zoo di Milano nei giardini di Porta Venezia conquistò la fantasia dei bambini. Zebre, orsi, ippopotami, tigri, leoni, foche, serpenti e – soprattutto – l’elefantessa Bombay con il suo spettacolo. Le gabbie erano davvero troppo piccole e le norme basilari oggi adottate in uno zoo non esistevano (i visitatori potevano per esempio dare cibo agli animali, anzi il cibo veniva appositamente venduto all’interno del parco). Negli anni il numero degli animali diminuì e tutta l’area divenne più triste senza la presenza dei bambini. Gli animalisti, giustamente indignati per le condizioni di vita degli ospiti dello zoo, iniziarono a protestare. La struttura chiuse i battenti.

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8 bis – Lo zoo dei giardini di Porta Venezia Dopo anni di abbandono e degrado, tutta l’area è stata riqualificata ed è diventata meta di laboratori per bambini. Si è cercato di rilanciare gli storici giardini. Nel museo di Storia naturale, invece, è conservata ancora l’elefantessa Bombay. O, per essere più precisi, una parte di essa (testa, ippoviaproboscide e dorso). Il pachiderma, morto nel 1987 – era arrivato cucciolo a Milano nel 1932 –, è stato inserito nel diorama che ricostruisce l’ambiente naturale di un parco naturale indiano.

 

9 – L’ippovia Milano-Monza Altro che problema di periferie e difficoltà varie a livello di trasporti: un tempo il capoluogo lombardo dettava legge in Europa in tema di servizio pubblico. Ancora nella metà dell’Ottocento le diligenze collegavano Milano e Monza, poi divennero locomotive a vapore. Nel 1876, infine, fu inaugurata a Porta Venezia l’ippovia, alla presenza del principe di Piemonte Umberto. Due cavalli trainavano sulle rotaie un omnibus giallo e rosso con un terrazzo. Il tempo di percorrenza del primo viaggio fino a Monza, a causa di numerosi intoppi, fu di oltre tre ore. Insomma, non proprio il massimo dell’efficienza.

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9 bis – L’ippovia Milano-Monza Il servizio con animali non durò molto. Sedici anni più tardi vi fu la firma del Comune con la Edison per la creazione di un trasporto pubblico elettrico e, pochi mesi dopo, l’installazione delle reti elettrificate, molte con capolinea piazza Duomo. Rapidamente tutte le linee a trazione animale vennero sostituite con tram elettrici. L’ultimo viaggio dell’eroica ippovia Milano-Monza fu a fine dicembre del 1900. Il “Secolo Breve” aveva centrale-elettricainizio e con esso la modernità di una linea elettrificata di 15 chilometri verso Monza.

10 – La centrale elettrica di via Santa Radegonda La prima centrale termoelettrica dell’Europa continentale sorse di fianco al Duomo di Milano nel 1883. Un luogo che non sembra certo ideale a questa destinazione, ma la necessità era lluminare gli edifici vicini, in primis Galleria Vittorio Emanuele e il Teatro alla Scala. La centrale di via Santa Radengonda fu allestita in un teatro abbandonato e si sviluppava su due piani: al pianterreno erano state montate le dinamo e altri grandi macchinari, al primo piano le caldaie e i magazzini.

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10 bis – La centrale elettrica di via Santa RadegondaLa centrale a due passi dal Duomo fu demolita nel 1926. I macchinari erano ormai obsoleti e il luogo in cui era sorta non era più adeguato alla destinazione. Lo sviluppo dell’illuminazione elettrica fu un successo dell’azienda Edison, fondata dall’ingegner Giuseppe Colombo. A fine Ottocento, nel 1898 per la precisione, fu inaugurata la prima centrale idroelettrica d’Italia a Paderno D’Adda che migliorò le possibilità di illuminazione in città, dai lampioni del centro fino ai tram del trasporto pubblico.

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