Milano 7 Ottobre – Lo slogan: la riforma costituzionale garantisce più celerità nell’approvazione delle leggi e supera il bicameralismo paritario che finora ha causato perdita di tempo nel passaggio fra Camera e Senato. Il Sì al referendum confermerà l’attribuzione di larga parte del potere legislativo alla Camera, riservando al Senato solo competenze di rilievo territoriale. La realtà corrisponde allo slogan? Partiamo dalla composizione del nuovo Senato, che dovrebbe scendere da 315 a 100 persone; “dovrebbe”, perché di questo ramo del Parlamento faranno parte a vita, come oggi, gli ex presidenti della Repubblica (che però non rientrano nel calcolo), più un numero fino a cinque di personalità nominate dal Capo dello Stato: è il tetto massimo, quindi potrebbe anche essere inferiore. La quota certa è quella di 95 componenti indicati dalle regioni: 21 sindaci, uno per ogni consiglio regionale, e 74 consiglieri regionali, scelti da ciascuna Regione in relazione alla popolazione residente, con un minimo di due per Regione.
Non sono noti i criteri per individuare i consiglieri-senatori: nella Costituzione vi è un generico rinvio a una legge di attuazione, chiamata a garantire criteri di proporzionalità che salvaguardino le minoranze. Ma non si comprende come questa garanzia possa realizzarsi quando i senatori da indicare sono soltanto due (il che accade per 7 Regioni): con un mutamento così profondo del Senato, la modalità di composizione di esso è un mistero. Il nuovo Senato sarà un’assemblea la cui composizione varierà in continuazione, dal momento che ciascun senatore resta in carica fino a quando durano la consiliatura della Regione o del Comune da cui proviene. La prima ricaduta è che non si riuscirà mai a capire quale è la maggioranza, e questo, in un sistema che vanta semplificazione, ha riflessi di segno opposto: la stabilità è una delle condizioni dell’efficienza. È sufficiente ricordare che nella legislatura 2006/08 la differenza di maggioranza era determinata al Senato dalla presenza in aula dei 5-6 senatori a vita: l’incertezza che allora dipendeva dalle condizioni di salute di un numero così ristretto di componenti oggi diventa strutturale e complessiva. Nelle materie per le quali dovrà avere interlocuzione col nuovo Senato il Governo non potrà ricorrere al voto di fiducia, che è rimasto solo nel rapporto con la Camera.
Quanto alle materie di competenza, il nuovo art. 78 Cost. lascia che lo stato di guerra sia dichiarato dalla sola Camera dei deputati; il nuovo art. 79 conferisce l’esclusiva alla Camera per amnistia e indulto; il nuovo art. 94 riserva solo alla Camera il potere di concedere o revocare la fiducia al Governo. È accettabile che passi così significativi nella vita della Nazione prescindano dalla valutazione del Parlamento nella sua interezza?
Localismi e norme comunitarie
Per altro verso, secondo l’art. 55 il Senato partecipa «alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Ue». È un caso probabilmente unico al mondo di competenza sovranazionale per un ramo del Parlamento di impostazione localistica (lo stesso art. 55 precisa che il nuovo Senato «rappresenta le istituzioni territoriali», non la Nazione, a differenza della Camera) in un contesto nel quale buona parte delle norme che regolano la nostra vita quotidiana sono di provenienza comunitaria. Immaginiamo che il sindaco di Velletri sia scelto dalla regione Lazio per andare al Senato: quale attinenza ha il suo profilo istituzionale con la «formazione e l’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Ue»? Sappiamo peraltro che il Governo nazionale partecipa agli organismi comunitari: come si coordina la sua azione, che anch’essa partecipa alla formazione e alla attuazione degli atti dell’Ue, con quella del Senato? E che cosa accade se vi è un dissenso fra Senato e Governo sull’attuazione della politica europea, nel momento in cui il Governo non ha neanche l’arma della fiducia per far passare la propria linea? Come viene composto un eventuale conflitto? Si va davanti alla Corte costituzionale? E dove finiscono l’efficienza e la rapidità delle decisioni?
Articolo di Alfredo Mantovano tratto dal numero di Tempi in edicola
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