Milano 9 Ottobre – E’ salito sul tetto del teatro La Scala per opporsi alla riforma truffa di Renzi e per vendicare l’Onore del Presidente, infangato dai giudici. Questa la storia di ieri di un ex imprenditore di 50 anni, Bulgaro di nascita, Berlusconiano di Fede, matto per le autorità, che lo ricovereranno in psichiatria, esempio di Fedeltà per tutti quelli che nella vita vedono ancora una dimensione altra, più alta, della mera esistenza quotidiana. Forza Italia è invecchiata. È una signora rispettabile, che frequenta i salotti buoni e sa che posate usare. Fa comunicazione sui social e nelle televisioni. I suoi appuntamenti li tiene in teatri eleganti. È rispettabile persino per i suoi ex nemici. È una borghese provetta. Ma non appartiene più a quella borghesia rivoluzionaria, avventuriera e talvolta arruffona che nel ’94 diede l’assalto al Palazzo d’Inverno e diede avviso di sfratto ai grigi burocrati che ne detenevano ingiustamente il possesso. Non è più la giovane donna arrembante, sfrontata e priva di remore che aveva il coraggio di compiere gesti eclatanti. Le manca il fiato, per certe urla. Forse è per questo che al Presidente non piace più, chi lo sa. Ne ha guadagnato sotto molti aspetti, ma il sogno si è perso. Si è perso per la maggior parte del tempo, comunque.
Perché poi capita, in una frizzante mattina di inizio Autunno che un uomo, qualsiasi, non un militante o, che Dio ci aiuti, un dirigente, decida che la Rivoluzione Liberale non sia un pranzo di Gala. Si alza determinato, quest’uomo. Ha due nemici. Una riforma che elimina il Federalismo ed umilia il Presidenzialismo che abbiamo sempre sognato. E l’indegna giustizia, che in questi giorni ha scagionato Alemanno, Marino e Cota dopo aver rovinato loro la vita, ma che prima aveva eliminato Silvio Berlusconi dall’agone politico. Sa che deve fare qualcosa. In televisione, anche quando si parla dei nostri temi, lo si fa sullo spartito di Travaglio. Cioè di un boia nato fuori tempo massimo, che, costretto ad impugnare la penna al posto dell’ascia, mantiene tuttavia la grazia del giustiziere che schianta colli sul patibolo. Sa che deve mostrare al Mondo la Verità. Lo deve a se stesso, lo deve al Presidente. Così, solo, a piedi, gabba la sicurezza di una città che si immagina protetta dal terrorismo. Sale sulla Scala e srotola tre striscioni. Lo fa per se stesso. Ma il nome che sventola è quello del Presidente. È solo, è un individuo. Non è un movimento. Non è un’associazione. Non è un club. È un individuo. Ed ha deciso di urlare la sua sete di Libertà al Mondo.
Dopo sette ore lo fanno scendere. È cardiopatico. È stanco. Il Mondo se n’è ampiamente fregato. Ma lui scende con un sorriso. È soddisfatto. Il messaggio è arrivato. Qualcun altro raccoglierà la fiaccola. La staffetta non si fermerà. Il Presidente avrà visto? Non lo sappiamo. Se ha visto, sono certo avrà sorriso. Adesso lo aspetta il manicomio. Il cimitero dei sogni che non muoiono al mattino. Eppure, non è tutto perduto. Non esiste la sconfitta per una causa per cui un matto è ancora disposto a battersi.
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