Milano 10 Ottobre – Ancora a parlare del fallimento della Grande Milano, in occasione delle elezioni dei consiglieri . L’articolo notarile è di Repubblica “Cinque liste in lizza, una di centrosinistra (Pd più Sel e civici), due di centrodestra (Lega e Forza Italia sono andate separate), il M5S, la sinistra radicale insieme ad altre liste civiche. Il sindaco metropolitano per legge è quello della città capoluogo, ieri Giuliano Pisapia e oggi Giuseppe Sala. La sede del nuovo ente è quella del vecchio (la Provincia), cioè Palazzo Isimbardi. E siccome il coefficiente di voto dei consiglieri di Milano vale dieci volte quello della seconda città più popolosa del territorio (Sesto San Giovanni), verosimilmente l’assise sarà una riproduzione di quella di Palazzo Marino.
A quasi due anni dalla propria travagliata nascita, tra i corridoi della Città metropolitana non si respira l’aria elettrizzante di chi comincia un nuovo percorso. Anzi. All’ultima seduta del vecchio Consiglio il sindaco leghista di Opera, Ettore Fusco, ha chiesto un minuto di silenzio, “per la morte della città metropolitana”: una provocazione, certo, ma per dire un po’ qual è il clima di (s)fiducia attorno alla creatura istituzionale. I problemi affrontati sinora sono di due tipi: di governance e finanziaria.
Il vicesindaco metropolitano uscente, il pd Eugenio Comincini, 44enne sindaco di Cernusco sul Naviglio, è colui che finora fattivamente ha provato a tirare le redini. La prima questione è esattamente questa: fare il sindaco di Milano non permette di accollarsi un altro ente ancora. O l’uno o l’altro. “Per me è stata una bella esperienza, ma dire stressante è poco. Hai un lavoro in più e non è neanche remunerato. Non è un caso se alla fine a questo giro di ricandidature, tra tutti, ce n’è stata solo una”, racconta. La “colpa” è della riforma in sé. In Italia di vere aree metropolitane ce ne sono due, forse tre: Milano e Napoli, Genova. Roma Capitale invece fa storia a sé. Eppure alla fine ce ne troviamo istituzionalizzate ben 14 (basti pensare che in tutta Europa ce ne sono solo 34).
“Noi nel nostro Statuto lo abbiamo messo: serve l’elezione diretta del sindaco e del Consiglio. Questo ente non può essere un passatempo o un impiego secondario. Per far crescere la Città metropolitana serve tempo, un impegno completamente dedicato”, ragiona Comincini. Non esiste neanche una giunta che dà un seguito al potere esecutivo. Il sindaco indica dei consiglieri metropolitani, ma non sono assessori veri e propri e soprattutto finora è mancata una condivisione compiuta degli obiettivi.
Però sarebbero difficoltà sormontabili se perlomeno ci fossero le risorse necessaria per fare un minimo di programmazione. Se nel 2009 la vecchia Provincia poteva vantare un bilancio da 1,3 miliardi di euro (con i quali gestire le scuole, le strade provinciali, la manutenzione del verde), per la sua erede si parla di 400 milioni di euro. Appunto, “si parla”: perché ad oggi il bilancio del 2016 rimane un cantiere aperto. Per chiudere in pari mancavano 45 milioni di euro, poi ne sono arrivati 25 dal Patto per Milano siglato tra Sala e Matteo Renzi. Ne rimangono 20 da trovare nei prossimi giorni.
Nonostante le ristrettezze, l’anno scorso la Città metropolitana ha versato alle casse statali 142 milioni di euro, quota (sempre maggiore) delle uniche due entrate di rilievo dell’ente: l’Ipt, cioè il passaggio di proprietà delle automobili, e una quota del bollo auto. Per dare un ordine minimo ai conti basterebbe fare ciò che aveva previsto l’esecutivo di Mario Monti: l’istituzione di una tassa aeroportuale da destinare direttamente all’ente. Scelta impopolare però, quindi rimasta lettera morta. Intanto comunque la pianta organica di Palazzo Isimbardi si è ridotta di quasi 500 persone, tra pensionamenti e mobilità verso Comuni e Regione. Una boccata d’ossigeno, visto che a un certo punto si temeva anche di non riuscire a pagare lo stipendio a tutti”
Inutile evidenziare ancora una volta che la legge Delrio è stata ed è una delle tante leggi volute dalla sinistra senza capo né coda. Perché pasticciata, affrettata, inconcludente. Ma chi paga lo scotto di tanto pressapochismo è sempre il cittadino
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