Milano 11 Ottobre – Dura la vita del Duomo: dura da sette secoli ed è dura da portare avanti. E anche unica, particolare. Tra i molti meriti della Veneranda Fabbrica del Duomo, che da sempre si occupa della cattedrale, ne ricordiamo due recentissimi: la riapertura dell’Archivio storico completamente risistemato e reso adatto per studi ed esposizioni e l’impegno in campo musicale (la musica a Milano nacque con Gaffurio e la Cappella del Duomo) anche insieme alla Scala. Su alcuni aspetti architettonici e artistici, però, la Fabbrica potrebbe avviare un dibattito con la cultura cittadina, e viceversa. Un aspetto che ha colpito alcuni lettori è questo. Chiunque osservi il lato nord del Duomo, quello verso la Rinascente, o magari lo osservi dalla terrazza della Rinascente – che quest’anno compie 100 anni e sarà sede di mostre e molti visitatori – può notare l’evidenza delle sostituzioni in copia delle parti ammalorate della cattedrale: un colore grigiastro e patinato caratterizza la cattedrale, mentre un bianco «Dixan» le nuove parti di volta in volta rifatte in stile e destinate a diventare a loro volta «antiche» ma, in realtà, copie moderne. Sì, la nostra cattedrale è in perenne rifacimento, non solo in perenne manutenzione.
Le parti ammalorate vengono periodicamente rifatte: pilastrini, guglie, ogive, statue… «Le parti più bianche – confermano dalla Veneranda Fabbrica – sono parti ammalorate e sostituite da nuovi elementi, sempre realizzati da nostre maestranze e con le medesime tecniche e il medesimo marmo di Candoglia, che dal 1387 nutre la Cattedrale». Non si tratta solo di puliture, ma proprio di sostituzioni che la Fabbrica realizza da sette secoli. Dal 1387 infatti – grazie a una bolla di Gian Galeazzo Visconti prorogata dagli Sforza e anche da Mussolini – i blocchi del prezioso materiale del Duomo vengono estratti dalla stessa cava di Candoglia e lavorati a Milano da maestranze che si passano il mestiere. È un’epica grandiosa e unica; ma questo modo di procedere è contrario a quello delle contemporanee Carte del restauro dei monumenti, delle teorie suggerite dalla scuola di restauro del Politecnico – che prescrivono una rigorosa conservazione delle parti materiali – e anche a un comune sentire rispetto all’originale. A Notre Dame, ad esempio, dopo le feroci critiche di fine Ottocento per i restauri sostitutivi e in stile orchestrati da Viollet Le-Duc, si è progressivamente proceduto in maniera diversa. Inoltre, dove finiscono le statue e i «gotici» ghirigori rimossi? In un cimitero delle statue in via Angelo Brunetti, un’area tra i viali Espinasse e Certosa. E qui veniamo a un altro aspetto sul quale alcuni ambienti architettonici si interrogano: ma queste statue, anche di qualità, sostituite perché ammalorate e con rischi di distacco, non possono essere riutilizzate? A parte alcune esposte nel Museo del Duomo, le statue stanno lì, nel cimitero.
Pierluigi Panza (Corriere)
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