Milano a due velocità: innovazione e periferie che non si incontrano

Milano

Milano 14 Ottobre – Una città bipolare, una città divisa, una città da ricucire. Anche il Corriere (l’analisi è di Fabio Finazzi) nota la distanza tra le periferie immobili e la velocità dell’innovazione, della produttività creativa. L’analisi annota la realtà attuale, ma tralascia di evidenziare l’abbandono con cui Pisapia ha governato nei cinque anni del suo mandato da Sindaco di Milano. Scrive “ Mai come in questa stagione le due velocità di Milano offrono una visione plastica, immediatamente percepibile. La città rivendica con orgoglio i suoi primati da capitale, i suoi parametri economici, si è giustamente detto, più europei che italiani. E avanza, un evento dopo l’altro, rimodulando format collaudati o inventandone di nuovi. Si fa fatica a tenere il passo, perfino nel darne conto sul giornale: la moda, il design, prima ancora il cinema (new entry), presto i libri tra Bookcity che c’è già e Salone che verrà, peraltro a ridosso dell’altro Salone per eccellenza, quello del mobile. Va molto forte il Fuori: nessun evento ormai è circoscritto a una sede, ma contagia un importante pezzo di territorio. Una felice bulimia creativa, potremmo dire. Chiunque si svegli e proponga qualcosa sembra avere successo. Perfino negli aridi istogrammi degli studi demografici si colgono segnali di confortante vitalità: i giovani tornano a risiedere in città. Sullo sfondo uno skyline che scorre rapido e sfavillante, ideale scenografia di un impetuoso cambiamento. Tutto molto bello. Piace tanto ai turisti, finalmente, ma anche a Matteo Renzi, visitatore così appassionato e assiduo da sfiorare lo stalking (copyright dello stesso premier).

C’è tuttavia un altro Fuori, meno appariscente, che irriducibile torna a balenare qua e là. È l’andatura di una città quasi immobile, uguale a se stessa, che resta a guardare. La prospettiva della signora Silvana, 83 anni, uno dei casi più recenti che abbiamo raccontato, quartiere San Siro, 1.400 famiglie sotto la soglia di povertà, 700 case occupate illegalmente.

Tutto un altro skyline. Lei abita lì da sempre. Vorrebbe continuare a farlo. Ma vive in stato di assedio, come molti altri anziani del suo condominio, tra scippatori, vandali e abusivi. Si chiama esproprio di cittadinanza, esattamente l’opposto della conquista, diciamo così, di nuova cittadinanza così ben rappresentata dalla Milano che ha messo la quinta.

Nel filone rientra a buon diritto (si fa per dire) anche il fenomeno degli spazi occupati dai centri sociali, di cui si è scritto nel fine settimana: blitz sempre più svuotati di contenuti ideologici e sempre più simili ad atti di prepotenza fini a se stessi. Non a caso, le occupazioni delle une — le case popolari — e degli altri — gli spazi più o meno inutilizzati — si saldano occasionalmente in un pericoloso fronte comune…. Investimenti incisivi e un visibile cambio di passo sulle periferie: nei prossimi due mesi si entra nel vivo. Una strada obbligata, perché due velocità così diverse non sono a lungo sostenibili: la forza propulsiva di una città può (deve) tirare fuori l’altra dalla secca. È un’occasione storica. Altrimenti si rischia di cristallizzare una Milano bella, invidiata ma pericolosamente bipolare.”

Sala contestato giorni fa al Giambellino, dovrebbe sapere quanto sia importante e prioritario “ricucire” Milano. Ma  sembra molto lontano da un’azione sollecita e incisiva.

 

 

 

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