Antonio Martino: «Parisi è l’uomo giusto per il centrodestra, ma non ha il carisma di un nuovo Berlusconi»

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Milano 2 Novembre – “Difficile pensare a congiure. L’onda anomala si ha quando per una concausa di avvenimenti si determina un’enorme, potentissima ondata. E’ un insieme di fattori che agiscono simultaneamente. Lo stesso accadde, secondo me, nel 2011″. Antonio Martino è seduto nel suo ufficio di parlamentare dietro Montecitorio. Acqua frizzante sulla scrivania e, come sempre, sigaretta libera. Martino, liberale per tradizione di famiglia e liberista allievo di Milton Friedman, è per tutti la tessera numero 2 di Forza Italia: “Ma nel 1994. Oggi sono forse più in giù, anzi…non l’ho rinnovata”, precisa con un sorriso. Professore di Economia alla Luiss, primo ministro degli Esteri di Silvio Berlusconi, nel 1994, ministro della Difesa dal 2001 al 2006 – gli anni del Cavaliere amico di George W. Bush e Vladimir Putin nella stagione lacerante delle guerre iniziate con l’11 settembre – Martino a 73 anni è un deputato che ha conservato la sua indipendenza di giudizio ma che, forse anche per questo, da tempo è lontano dal cuore del potere berlusconiano. Cinque anni dopo la sostituzione di Berlusconi con Mario Monti alla guida del governo, Martino riconosce che in quel passaggio si consumò la parabola di quell’onda anomala. “Siamo riusciti a fare tante cose, alcune delle quali positive, ma – risponde a Linkiesta.it – non siamo riusciti a dare ai nostri elettori quello che gli avevamo promesso: il cambiamento drastico in senso liberale della politica e della società italiana“. Dal 2011, quando tutto nel centrodestra crolla, al 2016, quando le macerie non trovano ancora una ricomposizione, il passo sembra breve. “Io ho molta stima di Stefano Parisi, lo considero un organizzatore di primo piano – risponde Martino -. E credo che se c’è uno in grado di dipanare la matassa del centrodestra questo potrebbe essere lui. Però non si può fare riferimento a quel carisma a cui gli elettori del centrodestra sono abituati. Sono abituati al carisma del leader. E Berlusconi… possiamo anche parlarne male di qui alla fine dell’anno, ma un altro Berlusconi non c’è”. Nemmeno Renzi: “Berlusconi era un idealista, lui è un cinico”.

Possiamo dire che quel 2011 ha chiuso il sogno, il progetto berlusconiano?

Questo è difficile dirlo, perché ancora è presto. Però ci sono buone possibilità che le cose stiano in questi termini. Se una cosa è certa è che dal 2011 la leadership di Berlusconi sul centrodestra si è notevolmente appannata e il centrodestra ha stentato a trovare la sua coesione, si è disgregato. Nessuno in America si chiede che valore abbia lo spread fra i tassi d’interesse della California e del Texas, invece qui si fanno i titoli in prima pagina sullo spread fra i tassi d’interesse dei bund tedeschi e i btp italiani. Nel 2011 c’era la febbre dello spread, era aumentato e arrivato a livelli molti alti. Si temeva che l’Italia rischiasse il fallimento. E su questa ondata di allarmismo si innestò poi quella che di fatto, penso, fu una manovra politica, con una serie di eventi che portarono alle dimissioni di Berlusconi.

Chi mollò Berlusconi allora?

A livello internazionale, anche se non si accetta l’idea che si sia trattato di un disegno orchestrato, non c’è alcun dubbio che in alcuni ambienti internazionali non si sia sofferto molto per gli eventi che hanno portato alle dimissioni di Berlusconi. Certamente il presidente francese e la cancelliera tedesca non avevano eccessive simpatie per il presidente del Consiglio. E alcune voci sostengono che anche l’amministrazione Obama non fosse dispiaciuta dal cambiamento. Penso sia difficile però credere che quanto accade in Italia sia il risultato di congiure ordite all’estero, io in genere ho un’allergia per queste letture cospirazioniste.

Ma fra i suoi da chi fu mollato Berlusconi?

Dire mollato presuppone che qualcuno prima fosse con lui e poi non più. In realtà non è che siano stati i suoi a mollarlo. Quello che è accaduto è che chi non gli era amico prima è riuscito a comportarsi in modo coerente.

E Berlusconi in quel passaggio con chi si consultò di più? Sembra che allora ci sia stata una sorta di resa da parte sua…

Non so con chi si sia consultato, questo è un ottimo quesito. Deve sapere che io non sempre riuscivo a parlargli, spesso non me lo passavano. Certamente non so se io gli avrei consigliato di dimettersi. Forse gli avrei detto di non dimettersi, perché le sue dimissioni in sé non risolsero alcun problema.

Nemmeno il governo Monti, stando a molti, ha risolto granché.

I problemi in questo Paese sono molto gravi ma i nostri governi li ignorano. Partiamo dal calo demografico, che è pauroso: siamo il Paese occidentale la cui popolazione diminuisce più rapidamente. Poi c’è anche il degrado culturale: secondo uno studio di De Mauro, il 70% degli italiani non capisce quello che legge. Ma il vero problema in Italia è che abbiamo un eccessivo peso dell’amministrazione pubblica che grava sulle attività produttive. Se pensa alle imposte sulla casa, sono il più potente fattore di disoccupazione che si possa immaginare, non solo nell’edilizia ma anche nel suo gigantesco indotto, perché l’imposizione sugli immobili è inefficiente, controproducente e iniqua. Ma tutte queste cose sono note: come mai nessuno ha deciso di metterci mano?

La mancanza di cambiamento quanto ha influito sul declino di Berlusconi? Voi nel 1994 parlavate di rivoluzione liberale.

Noi abbiamo vinto le elezioni del 1994 e poi altre successive non promettendo di gestire l’esistente ma promettendo di cambiarlo. Siamo riusciti a fare tante cose, alcune delle quali positive, ma non siamo riusciti a dare ai nostri elettori quello che gli avevamo promesso: il cambiamento drastico in senso liberale della politica e della società italiana. Da qui è nata la delusione, di modo che oggi di gran lunga il più grande partito italiano è il partito di quelli che non votano. E fra questi che non votano la mia impressione è che la maggioranza siano voti di centrodestra, persone che non hanno visto realizzato il sogno che gli era stato promesso e hanno rinunziato.

Quindi non si può credere alle congiure, ma a un concorso di debolezza politica e mancate promesse…

Un concorso di circostanze. Lei sa che cos’è un’onda anomala? L’onda anomala si ha quando per una concausa di avvenimenti si determina un’enorme, potentissima ondata. E’ un insieme di fattori che agiscono simultaneamente. Lo stesso accadde, secondo me, nel 2011. Anche se i cospirazionisti hanno qualche freccia al loro arco.

Ovvero?

Hanno una serie di indicazioni sospette, come le vendite massicce di debito pubblico italiano da parte di banche estere, specie francesi e tedesche, ma anche americane. Ciò potrebbero suggerire che questa cospirazione ci sia stata. Ma, come le ho già detto, sono allergico a queste letture.

«Il limite dell’impatto di Berlusconi sulla politica italiana è stato rappresentato sfortunatamente dal fatto che, non so se scientemente, ha determinato l’idea che senza di lui non ci fosse una leadership di centrodestra. E il risultato è che, essendo insostituibile, il centrodestra è in crisi»

Cinque anni dopo Berlusconi è stato, secondo lei, sostituto da Renzi nell’immaginario collettivo?

No. No, sono due fenomeni diversi, malgrado le similitudini e malgrado le tonnellate di parole riversate sul fatto che Renzi sarebbe l’erede di Berlusconi. No, sono due personaggi molto diversi: contrariamente alle apparenze, in fondo Berlusconi era un idealista e Renzi un cinico.

Però Berlusconi alla fine era quasi riuscito a fare le riforme con Renzi più che con D’Alema ai tempi della Bicamerale. I due si sono annusati bene.

La storia della Bicamerale con D’Alema va vista a fondo. Berlusconi fece bene a far saltare il tavolo allora, perché quello che ci veniva promesso era una riforma istituzionale sbagliata. Così come secondo me Berlusconi fa bene a dire ‘no’ oggi, con tutti i rischi che questa posizione comporta. Io potrei anche essere d’accordo con il mio amico Angelo Panebianco quando dice che se non votiamo ‘sì’ questa volta, non cambieremo più la Costituzione per altri 20 anni. Ma questo cambiamento non è nella direzione di un’Italia più efficiente e migliore. Ci viene presentata l’abolizione del bicameralismo paritario come una grande conquista, ma sarebbe così se in Italia fosse insufficiente la produzione di leggi. Invece l’Italia fa troppe leggi, non poche. Dobbiamo far sì che ci siano dei filtri per far sì che il numero delle leggi sia minore e migliore la loro qualità.

E il Berlusconi di oggi?

Il limite dell’impatto di Berlusconi sulla politica italiana è stato rappresentato sfortunatamente dal fatto che, non so se scientemente, ha determinato l’idea che senza di lui non ci fosse una leadership di centrodestra. E il risultato è che, essendo insostituibile, il centrodestra è in crisi nel momento in cui lui fisicamente non è al massimo delle sue possibilità. Berlusconi ha 80 anni. E’ vero che se li porta in maniera stupenda, ma ha avuto un sacco di fastidi di salute e un sacco di problemi che gli sono stati creati in modo a volte molto scorretto. Quindi la sua leadership è appannata e questo rende disunito e debole il centrodestra.

Ora ha investito su Stefano Parisi.

Io ho molta stima di Parisi, lo considero un organizzatore di primo piano. E credo che se c’è uno in grado di dipanare la matassa del centrodestra questo potrebbe essere Parisi. Però non si può fare riferimento a quel carisma a cui gli elettori del centrodestra sono abituati. Sono abituati al carisma del leader. E Berlusconi… possiamo anche parlarne male di qui alla fine dell’anno, ma un altro Berlusconi non c’è.

Domanda cinica: non è che Berlusconi, attraverso Parisi, stia scatenando la paura di molti colonnelli di Forza Italia di non essere ricandidati?

Ma questo è un problema che hanno sempre avuto tutti i partiti, tutti! Berlusconi giustamente non si occupa di queste faccende, perché sminuirebbe la sua figura se se ne occupasse, sono francamente questioni piccole. Il terrore di non essere ricandidati è sempre esistito, è sempre stato una delle forze che ha dominato la politica italiana. Spesso, per esempio, le elezioni anticipate non si fanno proprio perché i parlamentari non sono sicuri che verranno ricandidati.

Professore, un’ultima domanda più personale. Lei è stato il primo ministro degli Esteri del centrodestra, nel 1994, e fu subito criticato per essere un euroscettico. Vent’anni dopo una parte importante di quella coalizione, come la Lega ora guidata da Matteo Salvini, punta tutto sulla critica all’integrazione europea. Era lei in anticipo o loro in ritardo?

Il mio amico Giuliano Urbani mi disse una cosa che trovo vera: in politica non conviene mai avere ragione, soprattutto se ce l’hai prima. Puoi averla dopo, ma prima non ti conviene. E’ vero, è così. Io ho scritto il mio primo saggio di critica dell’unificazione monetaria nel 1971. Erano argomentazioni non politiche ma tecniche. Hanno però scoperto che ero euroscettico nel 1994, perché diventai ministro degli Esteri. Ma c’è un’enorme differenza fra la mia posizione e quella di Salvini: la mia non era una posizione emotiva ma esprimevo critiche per lo più basate sull’analisi economica che nulla avevano a che vedere con questioni marginali o folkloristiche. In questo particolare momento dovremmo però essere più rispettosi della posizione dei delusi dall’Unione Europea. Perché l’Ue in realtà non ha realizzato e non sta realizzando l’ideale europeo. Mio padre è stato uno dei padri fondatori dell’Europa (Martino indica sulla parete una foto del padre Gaetano, liberale, ministro degli Esteri a metà degli anni Cinquanta, NdA): la Conferenza di Messina del 1955 portò ai Trattati di Roma del 1957.

Che tra l’altro fra qualche mese verranno celebrati qui a Roma…

E celebreranno dicendo fesserie, è questo quello che mi irrita. Io non credo che mio padre si dichiarerebbe soddisfatto per come si sono sviluppate le cose con l’Unione Europea rispetto agli ideali di allora.

Alessandro Franzi (Linkiesta)

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