Milano 12 Novembre – Proponiamo il giudizio sul referendum costituzionale del 4 dicembre proposto dall’associazione Polis Parallela pubblicato da Tempi.it
Per noi la comunità politica è la collaborazione stabile per realizzare il bene comune, sotto la spinta della tensione di ogni uomo verso il vero e verso il bene. Per questo motivo la democrazia deve essere partecipativa: ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni livello, siano informati, ascoltati e coinvolti il più possibile nell’esercizio delle funzioni che essa svolge.
La riforma costituzionale Boschi, sulla quale dovremo esprimerci il 4 dicembre, riflette un’idea diversa di persona, di società e di Stato: il privato, i corpi intermedi e le autonomie locali sono visti con sospetto e non come risorsa; si diminuisce la partecipazione dei cittadini, alterando il nesso di rappresentatività e quindi la responsabilità della classe politica, rischiando di acuire la disaffezione del popolo verso quest’ultima.
Tutto ciò in nome della (presunta) maggiore governabilità, dell’efficienza decisionista, del cambiamento. Il cambiamento, però, non è di per sé sinonimo di progresso: un cambiamento che peggiori la situazione iniziale è un regresso. Per questo occorre una valutazione nel merito delle ragioni e degli effetti della riforma.
Innanzitutto l’attuale situazione di crisi economica e sociale non giustifica di per sé un radicale mutamento della forma di governo: infatti, oggi più che mai, non è necessario un numero maggiore di leggi approvate in tempi più rapidi, ma una deregolamentazione intelligente che tolga le briglie della burocrazia. Posto che la speranza di ripresa non è nella legge, servono leggi di buona qualità, che rispondano bene alle esigenze della società: questo è possibile solo attraverso un dialogo tra maggioranza e opposizione.
A ciò si aggiunge che la vaghezza della norma che attribuisce le competenze a Camera e Senato rallenterà ulteriormente il processo legislativo, dando adito a continui conflitti d’attribuzione tra i Presidenti dei due rami del Parlamento prima e davanti alla Corte Costituzionale poi. Il nuovo “Senato delle Regioni”, inoltre, sarà composto da amministratori locali, i quali non solo rischieranno di svolgere approssimativamente i due incarichi, ma soprattutto resteranno vincolati a logiche di partito più che ai reali interessi del proprio territorio.
A questa situazione fa da contraltare lo sbilanciamento dei poteri nei casi di competenza esclusiva della Camera dei Deputati. Qui il combinato disposto della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale “Italicum” consegnerà ad un partito, pur votato da una percentuale “minima” di aventi diritto, la maggioranza assoluta dei seggi. Con il rischio che riforme non condivise dalla stragrande maggioranza del popolo divengano legge, grazie alla sostanziale identità tra potere legislativo ed esecutivo, che invece dovrebbero limitarsi a vicenda.
Il punto nevralgico della riforma, però, è quello che attiene al Titolo V, cioè ai rapporti di competenza legislativa tra Stato e Regioni. Negli ultimi anni questi rapporti sono stati sì causa di scontro, ma hanno anche permesso alle Regioni virtuose di esprimere al meglio le proprie eccellenze, adattando i servizi erogati alle esigenze del territorio.
Il ruolo delle Regioni e delle autonomie locali risulta dunque svilito: l’accentramento del potere nella maggior parte dei casi aumenterà burocrazia e costi, ridurrà l’efficienza e impedirà a tante eccellenze di nascere ed emergere, livellando verso il basso i servizi sul territorio. La strada da intraprendere sarebbe invece quella della devolution, dell’autonomia e della responsabilità fiscale, della sussidiarietà: qui si va nella direzione opposta.
Da ultimo, bisogna rilevare i problemi procedurali che questo tentativo di riforma ha incontrato nel suo percorso: è stato approvato da una maggioranza “variabile” e risicata, è stata fortemente personalizzata dal Presidente del Consiglio e legata a tematiche contingenti e demagogiche come la riduzione dei costi della politica.
Posto che siamo coscienti delle gravi problematiche della nostra Carta Costituzionale, la proposta più ragionevole è quella di aprire una stagione di vero dialogo sui contenuti della riforma, che dovrebbe spingersi, a nostro avviso, a ridisegnare i rapporti tra i poteri dello Stato in modo più incisivo e ragionevole, ad esempio prevedendo l’elezione del Premier da parte dei cittadini, ripensando il ruolo della magistratura, della pubblica amministrazione, delle Regioni. Questo confronto potrà quindi portare alla formazione di un potere costituente rappresentativo della società ed in grado di dare forma ad un nuovo e duraturo contratto civile.
In sintesi la riforma Boschi è sbagliata nel merito, centralista e pericolosa. Il prezzo da pagare è troppo alto: preferiamo un NO ambizioso e costruttivo.
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