Milano 19 Novembre – E’ un problema ormai parlare di Roma. Da giugno in poi, c’è stata a lungo, nella Capitale,- ed anzi dura ancora- l’incapacità di reagire e vedere la situazione per quella che è. Un ritegno vergognoso, imbarazzato, infastidito simile a quello della vergine cui a forza si mostrino scabrosità. Il popolo di Roma, che aveva votato e che non l’aveva fatto, fiducioso ai limiti del credulone, oppure spavaldamente cinico e beffardo ma con segrete speranze, aveva ed ha nell’intimo la speranza del cambiamento. Purtroppo vissuto, come da millenni avviene nell’Urbe, come l’attesa del miracolo, dell’intervento della Buona Provvidenza. Il popolo di Roma, fatto soprattutto da burocrati, preti, commercianti, professionisti ed idraulici a nero doveva digerire la fine del modello Roma, coltivato e cresciuto da trent’anni. Poi però nello stretto circuito di ciascuno, nei quartieri paesoni in cui è divisa la capitale, si è andati oltre. Oltre l’ordinario disservizio, la solita confusione, l’abituale degrado, il solito spreco distribuito omogeneamente sul desco del povero come sulla ricca tavolata, il quotidiano scambio di disonestà intellettuale tra chi non ragiona e chi non insegna, chi non guida e chi non paga, chi non arresta e chi non scontrina, chi cerca la buca per il risarcimento e chi non la riempie, ma soprattutto chi chiede consulenza e poi la offre e chi chiede governo e poi sgoverna. E’ successo tante volte che nella Suburbia frotte di cani randagi divorassero le spoglie di un vecchio corpo, ulle fatiscenti Setteville, magari quelle dello zio immigrato che aveva raggiunto il nipote muratore a nero o la nipote strippeur a carne. Quando però le bande dei cani randagi assalgono e mandano all’ospedale un ambasciatore in servizio, noto scrittore, che passeggia sul centralissimo Circo Massimo, e sulla carta uno dei ricordi archeologici più importanti della storia e peraltro appena restaurato in pompa magna, si capisce che si sta sprofondando verso il centro della terra e senza terremoti. Il landscape è fatto da barboni, italiani, che si fanno il letto sotto i portici, dalle pensiline bus appannaggio di puttane rumene mentre le panchine lo sono delle più belle ed attempate trans sudamericane, da un mare di fanghiglia attorno ai cassonetti dove gli zingari in ricerca di qualcosa da riusare buttano i sacchetti recuperati ed aperti, dal Grande Buco Nero Termini, il quartiere della dolce e afrosa vita africana, dalle new dehli di boccea, dai cofani delle auto alcova viva di corpi animali che si sbattono nel passaggio degli sguardi allontanati dei passanti tra campo de fiori e piazza navona, quando sotto ogni casa puntualmente un brivido scuote le pur insensibili e sfatte carni capitoline, dalle ortodosse che pregando di domenica ridanno uniche vita all’ex Valle occupato . C’è il ritorno anacronistico del coltello ottocentesco e la new entry massiva delle pistole puntate alla testa a Re di Roma anche per le agenzie viaggi né troppo grandi, né troppo piccole, né troppo ricche né troppo povere. Per lungo ed in largo si pensa che scrivere e raccontare la situazione della Capitale per quella che è, sia un favore alle incarognite caste e associazioni che governano e sgovernano molto del grandissimo territorio romano, il più esteso comunale e provinciale d’Europa in una regione desertica che tutto dà e deve alla sua capitale regionale e nazionale. Ci si scalmana anche oltre il dovuto contro la sinistra cattolica, contro la destra, contro il modello veltroniano, contro la gaytecnocrazia. Il popolino del risarcimento e della superstizione antimoderna, giunto al potere, ha pudore non tanto a denunciare ma anche ad ammettere che si stava meglio quando si stava peggio. C’è dolore nella sconfitta dei beniamini, i francescani del Campidoglio ed i franceschi di San Pietro. C’è imbarazzo davanti alle proteste dei centri sociali e di Casa Pound, l’arresto del cui leader è un’onta per il popolo grillino. E mentre si chiude il Giubileo, tra i cani assatanati, pesa in soldi il successo mancato, la metà dei visitatori dell’evento millenario di 3 lustri fa. I Romani però non ce la fanno ad irridere il nuovo vertice apicale del Comune, la bambolina indignata al potere, e si consolano che dopo tante gaffes, la sindaca si sia ritirata in un dignitoso ed imbarazzato mutismo. Nell’Urbe della lamentela ed abbaio che non morde millenario, sta venendo meno anche il digrigno e lo sberfello. Pasquino è emigrato.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.