Poche storie, le imprese non crescono

Attualità

Milano 23 Novembre – Piccola pausa dal referendum e breve ritorno al #paesereale: la produttività delle imprese italiane è cresciuta, negli ultimi 20 anni, solo del 5%(contro il 40% degli Stati Uniti, tanto per avere un termine di paragone). Un allarme analogo era stato lanciato recentemente anche da Mario Draghi: aumento del 3% negli ultimi dici anni.

La coppia di economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, nell’analizzare il dato sul Corriere di oggi, dà queste motivazioni: imprese troppo piccolee familiari. Tutto vero, ma all’analisi mancano alcuni pezzi: letta così, pare che la bassa produttività sia indice di una certa “pigrizia aziendale“, in linea con le ultime scuole di pensiero che affibbiano agli imprenditori italiani un bel po’ di responsabilità nella mancata crescita del Paese. Ci sono, evidentemente, bad practice o “di categoria” (se Confindustria anziché far politica filogovernativa pensasse di più ai suoi associati), ma il problema è strutturale e sistemico. Togliendo, visto che si tratta di produttività oraria (cioè il valore delle ore effettivamente lavorate), la disoccupazione e la cosiddetta economia “sommersa”, restano però altri fattori “macro”.

Le imprese piccole e micro in Italia costituiscono il 99% del sistema produttivo: non si tratta né di un vezzo né della semplice conseguenza di una diffusa conduzione “familiare”. Le aziende nostrane non crescono di dimensioni – e quindi non creano output (utilizzando la gelida terminologia) – perché non sono messe in condizioni di farlo. Non investono, né nella qualità del capitale umanoné nei mezzi di produzione, così come in infrastrutture e tecnologie, perché non hanno le risorse necessarie: finché il credit crunch resta così alto, finché cioè le banche non concedono più prestiti, se non in presenza di garanzie (private o statali) o con clausole capestro, le aziende stagnano.

Poi c’è il sempreverde tema delle tasseuna pressione fiscale al 64,8% non aiuta di certo ad accantonare capitali per gli investimenti. Senza dimenticare il costo dell’energia, fra i più alti del mondo. Ecco perché si può, come sta facendo il governo in questo periodo, anche detassare il premio di produttività, ma se non si agisce a monte i numeri cambiano di poco. Se mancano le tecnologie è chiaro che un lavoratore italiano, a parità di ore lavorate, produce meno di un lavoratore tedesco che ha a sua disposizione mezzi più avanzati. Altro grande tema, la banda larga. Il digital divide, nonostante i proclami renziani, è ancora alto: meno del 20% delle aziende italiane usufruisce della massima velocità di connessione. Tutte le misure che servirebbero, perciò, per migliorare lecondizioni di vita di un’azienda sono ferme al palo. E qui ritorniamo al referendum, che pare ormai diventato l’alibi per non fare più nulla per il Paese.

Federica Venni (L’Intraprendente)

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