Milano 5 Dicembre – Non c’è niente da fare, esiste una caratteristica nel DNA della sinistra che si rifiuta di sparire. Nonostante le numerose evoluzioni, il cambio di nome, il cambio di ragione sociale ed il cambio dei connotati, il furto non riesce ad apparire come quello che è. Un abominio. La proprietà privata genera invidia, che genera odio, che fa eleggere gente come Majorino. E Majorino, fedele ai valori che lo hanno portato là, suggerisce che “grandi spazi privati” siano “temporaneamente utilizzati” in funzione “antidegrado”. Leggasi, utilizzati dagli amici degli amici per farsi i propri porci comodi con la complicità di una o più istituzioni pubbliche. Questa, dobbiamo capirci, è una versione ancora peggiore dell’esproprio proletario evocato dal vecchio leone De Corato. L’esproprio proletario, per quanto odioso, anticamera della mentalità mafiosa per cui solo se appartieni al racket sei al sicuro, aveva l’indubbio vantaggio di non essere ipocrita. Era brutalmente chiaro il concetto. Io prendo quello che voglio, con la violenza. Qui la cosa funziona esattamente nella stessa maniera, ma con due enormi differenze. La prima è che tu dovresti essermi grato, perché svolgendo una funzione “antidegrado” ti rendo un servizio. La seconda è che, in virtù di questo servizio, passa l’idea che il pubblico la proprietà privata non debba nemmeno più fingere di difenderla, come fa ora. Ma facciamo un esperimento, così, a titolo di speculazione. E se prendessimo seriamente le parole di Majorino? E se fingessimo di assecondarle? Dove arriveremmo? Proviamoci.
Dunque, qui ci sono tre elementi. 1. L’immobile deve essere privato (non si sa perché quelli pubblici siano immuni, ma ci fidiamo) 2. Deve essere in disuso (da quando, come e perché sono tutte cose lasciate da decidere ai compagni, immagino) 3. Deve essere usato temporaneamente in funzione antidegrado. I primi due parametri, per quanto arbitrari, hanno delle componenti oggettive su cui non si può litigare. Il terzo sono le porte della follia. Intanto bisogna capire chi valuta e decide. Evidentemente non può essere la magistratura a posteriori. Perché sennò tutta la discussione non avrebbe alcun senso. Sempre che ne abbia qualcuno anche ora. Quindi deve essere lo Stato, sotto forma di Comune, a priori. Questo vuol dire produrre un regolamento sugli espropri. Che sarebbe un filino incostituzionale. Ma ammettiamo che con molta fantasia si decida che l’utilità sociale della proprietà private, quella ributtante soluzione cattocomunista inserita nell’articolo 42, sia estendibile alla situazione in oggetto. Poi come ci regoliamo? Dopo quanti mesi, anni o decenni la proprietà diventa occupabile? Da chi? Come? Non sono interrogativi da poco. A Milano rischierebbero di proliferare i centri sociali, non solo coccolati, ma addirittura protetti per legge.
E poi, una minima nota di colore, vogliamo davvero fidarci del giudizio di chi definiva via Padova “il meglio di Milano” in merito al concetto di “antidegrado”. Io non credo sia una cosa seria. Voi?
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,