Milano 8 Dicembre – Il grande azzardo non è passato. Qual era, il grande azzardo? Trasformare il voto su 47 articoli riscritti della Costituzione in un plebiscito personale. Un grave errore, a mio giudizio. Alcune considerazioni all’indomani del voto.
La riforma. Per me personalmente, il no al bicameralismo perfetto era sacrosanto, ma il più delle altre norme era scritto coi piedi. Non intendo rifare l’elenco e ricompilare la lista degli esempi, me ne sono occupato in tante trasmissioni. Dall’ipotetica composizione del nuovo Senato al conflitto endemico con la Camera che sarebbe scaturito dall’ex proposto articolo 70 sulle rispettive competenze, alla conflittualità Stato-Regioni che sarebbe inevitabilmente insorta da una definizione di “clausola di supremazia” così poco limitata, a tanti altri aspetti centrali. Il governo Renzi era nato per la riforma costituzionale, se ricordate il mandato preciso affidatogli da Napolitano. Altro conto era decidere di presentare questo pasticciato testo di riforma come decisivo per un’Italia riallineata finalmente alle grandi democrazie governanti. Non era così: nessun accorpamento dei piccoli Comuni, nessuno delle Regioni, quelle a statuto speciale sarebbero restate, e via continuando, tanto per fare esempi non proprio secondari. Il solo riallineamento della spesa procapite delle Regioni a statuto speciale a quelle ordinarie farebbe risparmiare 14,4 miliardi, altro che i 130-140 milioni complessivi di risparmi se la riforma fosse passata, cifra di cui hanno parlato Carlo Stagnaro, Ugo Arrigo e Roberto Perotti.
L’azzardo. Lo sanno tutti che non si è votato sul testo della riforma, ma sul plebiscito personalefortemente voluto dal premier. Non mi stupisco che l’abbia fatto. Come ci insegna Public Choice, ogni politico ha un interesse. Che non è quello del Paese, come pretendono a chiacchiere tutti. È il suo, di interesse. Renzi, non scelto dagli italiani in un voto elettorale, dopo l’exploit delle europee ha cercato in tutti i modi di radicare una conferma personale per un lungo ciclo politico a propria guida. Le amministrative non si sono prestate alla bisogna. Ha usato il referendum, con una lunghissima campagna personale iper drammatizzata. Il suo ragionamento mi è sempre sembrato questo: se vinco, vento in poppa per una grande conferma elettorale; se perdo, resto comunque a capo della maggior minoranza politica del paese, e potete pure fare una legge elettorale neo-proporzionale senza premi maggioritari, ma voi del No siete divisi, incapaci di una proposta di governo comune, e dunque la faccenda dopo le prossime elezioni si riduce a chi tra voi deciderà di sostenere un governo da me guidato.
Tre errori. I limiti dell’azzardo sono però almeno tre. Enormi. Primo: c’è un gigantesco eccesso di rischio. Secondo: c’è un vizio cognitivo. Terzo: c’è un vizio ermeneutico.
La prima questione è presto spiegata: Renzi ha predicato ai mercati che facevano bene a picchiar duro l’Italia, se non avesse vinto lui. Ha impiccato all’esito referendario partite che non c’entravano il resto di nulla: a cominciare dall’intero settore bancario, che ha perso nei suoi processi di ricapitalizzazione e pulizia 6 mesi in attesa del voto, come se Mps, l’aumento di capitale di Unicredit e tutto il resto dipendessero dal Cnel vivo o morto. E’ stata una delle ricorrenti dimostrazioni del grande cinismo di cui la politica è capace: mentre si riempie la bocca di interessi nazionali, incita a colpirli per perseguire meglio gli interessi propri. Oggi i mercati non stanno affatto picchiando durissimo: ma per il semplice fatto che, invitati dal governo, avevano incorporato già il più delle aspettative negative, perché questo è il modo in cui i mercati giustamente procedono. Ora sconteremo un 2017 di instabilità crescente sulla finanza pubblica, salterà quella che doveva essere la riforma vera del lavoro cioè quella delle politiche attive, e nessuno può dire oggi quanto e se il Pd già in orgasmo precongressuale non appesantirà ulteriormente le troppe mance già presenti in legge di bilancio. Di tutto questo la responsabilità è in capo a chi ha voluto una scommessa tanto estrema. Alla fine, come sempre, pagheranno il Paese e i suoi contribuenti.
Secondo: il vizio cognitivo. Ma in base a che cosa, di grazia, Renzi e chi lo sostiene sono così sicuri che non sia possibile una convergenza sui alcuni obiettivi di fondo, tra chi guida oggi l’eterogeneo fronte del No? Finora il ragionamento prevalente sembra essere stato: né Salvini né Grillo vogliono governare davvero, lo sanno che non hanno gente capace, vogliono solo massimizzare e monopolizzare la protesta. Figuriamoci poi se mai potrebbero mettersi d’accordo per un’alternativa comune. Dubito fortissimamente di questa pretesa superiorità cognitiva. Osservo invece che in questi ultimi 3 anni ha oggettivamente fatto molti passi avanti nell’opinione pubblica la presa degli argomenti sovranisti “no euro no Ue sì dazi sì chiusura confini sì Stato forte”. Confezionata in maniera non aggressiva sulle conseguenze a cui esporrebbe il Paese, è una piattaforma la cui “portata storica” può ormai realisticamente portare a convergenze sinora presuntuosamente escluse a tavolino. Si può immaginare quanto poco la cosa mi possa piacere, ma non vuol dir nulla. Sbaglia, sbaglia maledettamente chi ha creduto che quello guidato da Renzi sia l’unico governo possibile dopo un voto degli italiani. Perché gli italiani, come tutti, non votano affatto come le élite pretendono.
Terzo: il difetto d’interpretazione. Già notato da molti, anche da alcuni giornaloni che fino a ieri erano totalmente corrivi alla propaganda di governo. La maggioranza degli italiani non si riconosce nello storytelling dell’Italia tornata agli onori del mondo e uscita dalla crisi. Perché vive la realtà di una disoccupazione che resta alta, di bassissimi redditi e ricchezza ai giovani, di squilibri territoriali accentuati, di un fisco asfissiante, forte coi deboli e debole coi forti. Il governo in mille giorni aveva presente questo problema. L’ha affrontato con i bonus a tempo per incanalare al voto i percipienti. Quasi 3 punti di PIl di risorse pubbliche mobilitate tra i 10miliardi del bonus 80 euro fino ai 26mila euro lordi di reddito (ma non ai poveri veri), i 15-16 miliardi da decontribuzione a tempo non alla nuova occupazione ma al rinnovo della massa di tutti contratti, i 3,9 miliardi da abolizione imposta prima casa, più i bonus a insegnanti, 18enni, pensioni minime, madri in gravidanza, bonus-bebè, bonus-nido e via continuando. Senonché l’equivalenza ricardiana colpisce sempre: chi percepisce un bonus a tempo sa che non è permanente, e che gli conviene risparmiare invece di consumare, perché il bonus scadrà e magari saliranno di nuovo le tasse. Non si tratta di un pregiudizio politico negativo: lo scudo Bce al rischio sovrano italiano non è eterno, e senza spending review gli italiani sanno dove la politica troverà copertura al maggior fabbisogno statale, cioè dalle tasche dei contribuenti. Lascio a chi legge il bilancio degli effetti reali di questa montagna di risorse pubbliche utilizzate. Per me è del tutto insoddisfacente. Con 3 punti di PIl di risorse pubbliche si poteva fronteggiare il minor gettito nel breve a seguito dell’introduzione di una flat tax ad aliquota convergente al 25% sui redditi delle persone fisiche. E se invece volete un esempio “sociale”, eccolo. Sta partendo con 2 anni e mezzo di ritardo la prima sperimentazione delle politiche attive del lavoro, con l’assegno di ricollocazione che si affianca al Naspi per i disoccupati di lungo periodo, che a quel punto possono decidere di spenderlo in un centro per l’impiego pubblico o privato tra quelli accreditati, vengono affiancati da un tutor, formati, e avviati a proposte la cui durata contrattuale determina il diritto dell’intermediario accreditato ad incassare il voucher. Lo stanziamento per il 2017 è relativo a sole 30mila unità, ed è pari a 200 milioni. Bene, significa nasometricamente che per i 600mila circa disoccupati di lungo periodo servirebbero 4 miliardi: non ho dubbi rispetto alle condizioni del Paese che era prioritario questo impiego, rispetto ai 10 miliardi del bonus 80 euro.
Infine, ultima considerazione da “liberale”. Continuo a rispettare i molti amici che si sono impegnati a favore di Renzi e del suo governo, come coloro che invece l’hanno avversato. Non pratico scomuniche e insulti, faccio polemiche sul merito non sulle persone. Mi sembra che l’anomalia italiana non stia nella pretesa di Renzi di voler dar vita a una sua leadership personale nazionale, basata sulla trasformazione di un partito non-socialdemocratico in un catch-all-party. È nel DNA della cultura da cui proviene, averci provato: e ci riproverà alle elezioni politiche. L’anomalia non sta neanche nel fatto che in Italia si manifestino da qualche anno partiti di protesta anti-sistema che sommati e distinti arrivano a superare il 40% dei voti, e sommati al di là dei simboli come si vede possono anche essere maggioritari nei consensi. Succede ormai in tantissimi Paesi europei, e Brexit e Trump eccetera eccetera. L’anomalia sta invece nel fatto che da noi manchi del tutto un fronte in qualunque modo analogo alla via francese di Fillon o a quella tedesca della Merkel. Da noi in politica non esiste, attualmente e da anni, chi voglia e sia capace di affermare le ragioni del mercato, della concorrenza, dell’Europa, innestandole su svolte politiche concrete a favore di chi ha bassi redditi, dei giovani e delle donne, delle vittime dell’economia relazionale, dell’accesso preferenziale al credito a prescindere dalle buone idee d’impresa, della tutela dei vecchi asset di controllo bancari. Può essere che alcuni o parecchi liberali abbiano finito per diventare renziani in quanto del tutto scoraggiati all’idea che l’Italia possa davvero un giorno avere un soggetto politico come quello sopra descritto. Ma come avete visto, cari amici, appoggiare una leadership personalistica comporta tacere sui suoi difetti: dalla disinvoltura su spesa e tasse, alla polemica anti Ue che porta solo acqua al mulino di chi anti Ue lo è da prima e meglio di Renzi.
Che bel 2017 che ci aspetta… Ma non prendetevela con gli italiani, per favore. Se la politica accetta di massimizzare i rischi per avvantaggiarsene, ci sta che gli elettori respingano un’offerta che si presenta come obbligata, e vogliano scoprire l’alternativa. Se poi non c’è un’alternativa minimamente promercato e concorrenza, la colpa è di chi ha queste idee e non riesce a tradurle in rappresentanza politica, non degli altri.
Oscar Giannino (L’Intraprendente)
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