Milano 11 Dicembre – In questi giorni, e per quelli a venire, la discussione politica sarà, comprensibilmente, incentrata sul problema di quale legge elettorale dare all’Italia. Con l’auspicio che il dibattito sia più costruttivo rispetto a quello visto durante il referendum dello scorso 4 dicembre.
La legge elettorale è un elemento importantissimo non solo per la gestione della cosa pubblica, ma anche per la crescita politica di una comunità, potendosi considerare come il “trait d’union” tra società civile e rappresentanza politica. È un mezzo di scelta ed elezioni, ma dalla sua fattezza si determinano dinamiche fondamentali di sana partecipazione, istituendosi il rapporto tra Stato e società.
È un mezzo tecnico, appunto, il quale è condizionato, per la sua buona riuscita, da molti fattori “esogeni”, che caratterizzano il contesto dove viene applicata. Ma il mezzo, prima dell’applicazione, è “neutro”, e risulta sempre debole davanti a un suo cattivo e distorto uso. Quindi, a voler parlare di legge elettorale, ci si augura che “l’ideologia del meglio” sia lasciata nel cassetto, per far posto ad un sano realismo che, ovviamente, non pregiudichi alcuna prerogativa costituzionale. E che non ci si dimentichi di dare uno sguardo alla storia, da cui si possono ricavare importanti insegnamenti.
Volendo esprimerci seguendo più una linea “metodologica” che di “merito”, e muovendoci tra gli antipodi dei sistemi elettorali, non ci viene assolutamente in mente di affermare che il proporzionale, in sé, è peggiore dell’uninominale. Perché risulterebbe falso solo guardando il contesto europeo.
In Italia, fino al 1993, abbiamo votato con il sistema proporzionale (pur se per l’elezione del Senato era in teoria “misto”). Esso era figlio legittimo di quel mondo uscito dal fascismo ed impaurito dalla concentrazione del potere. Ma anche della sfiducia verso l’ottocentesca “rappresentanza per persone”; preferendosi, quindi, quella “per partiti”. Era espressione e trasposizione delle molteplici anime che avevano trovato incontro ed equilibrio nella stesura della Costituzione. Ma ne rappresentava anche la volontà di un mutuo controllo. Quel sistema ha cristallizzato per anni un’Italia dove, nell’impossibilità dell’alternanza per la conquista del governo, il “governo dei partiti” si è spartito lo Stato, mentre avrebbe dovuto dividersi i poteri. Tutto era “contrattualizzato” (tra le forze politiche) e parcellizzato, lasciando fuori la società civile, in quanto entità libera, a meno che non fosse provvista di tessera.
L’ondata maggioritaria degli anni Novanta ci ha dato il “Mattarellum”, per cercare di uscire dalla frammentazione partitica e per promuovere una competizione bipolare. Ma se un certo grado di bipolarismo si era raggiunto, non si poteva dire lo stesso rispetto agli effetti benefici contro la frammentazione. Il perché è scritto in quella quota del 25 per cento di proporzionale che i partiti hanno voluto lasciare; la quale non ha attenuato il potere, spesso esponenziale rispetto alle reali dimensioni, dei piccoli partiti. Probabilmente, se si sono persi i potenziali effetti benefici di un sano sistema uninominale, lo si deve ancora una volta ad una persistente “partitocrazia di ritorno”.
Del “Porcellum” conosciamo tutto; soprattutto dei suoi effetti nefasti sulla qualità della rappresentanza politica. A cui, più che la competenza, è sufficiente l’appartenenza, che la leghi e colleghi alla cordata giusta per la futura elezione. Un’esaltazione della segreteria di partito, per capirci.
Insomma, abbiamo molto materiale storico e politico su cui ragionare in maniera costruttiva. E anche come cittadini possediamo molti riferimenti per stabilire quando ci stanno prendendo per il naso. Quindi, sgombriamo il campo, ed iniziamo a discutere seriamente. Sapendo che non abbiamo bisogno di “velocità” decisionale, perché la velocità in sé non è un valore. Ma ciò che urge è snellezza; la quale dia trasparenza e possibilità di una verifica la più continua possibile, al fine di individuare sempre il “responsabile del procedimento”.
Abbiamo creato, ed in questo le leggi elettorali hanno dato il loro contributo, uno Stato che quando serve non sempre c’è, e quando c’è spesso è di troppo. Ma questa aberrazione è nata proprio dalla partitocrazia colonizzatrice, che ci ha lasciato troppo spesso solo l’illusione della scelta rispetto all’offerta politica.
Ad ogni modo, anche come antidoto ai montanti populismi, sarebbe il caso che, qualunque sia la base di partenza, si rifletta sul fatto che qui non si tratta solo di riattivare lo Stato, ma anche di come rianimare una società civile stanca di sentirsi sempre ai margini. Abbiamo bisogno di corpi intermedi aperti e trasparenti verso il basso. E di istituzioni il più possibile cristalline e indagabili. In questo, la legge elettorale svolgerà un ruolo fondamentale. Il futuro di una democrazia passa inevitabilmente anche da qui.
Raffaele Tedesco (L’Opinione)
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