Milano 19 Dicembre – Sono passate da poco le quattro di giovedì pomeriggio, Montecitorio è semivuoto, qualche capannello di giornalisti e deputati. I commessi sgranano gli occhi e si danno di gomito quando vedono Massimo D’Alema, in abito grigio, imboccare il corridoio che lo porta ai bagni. Qui si ferma qualche minuto prima di entrare dal barbiere. Parla al telefono, il tono di voce alto, risatine in mezzo.
Elenca le riforme del governo di Matteo Renzi e i relativi fallimenti: la riforma costituzionale, ovvio, il campo che ha visto anche lui tra i vincitori, bocciata al referendum; quella della Pubblica amministrazione frenata dalla Consulta e l’altra sulle banche popolari sospesa dal Consiglio di Stato. Il ragionamento continua e guarda al futuro, al referendum sul Jobs act promosso dalla Cgil, che terrorizza il Pd, e alla sentenza della Corte Costituzionale che il 24 gennaio si riunirà sull’Italicum: «Se andiamo avanti così, alla fine, delle riforme di Renzi non ci rimarrà nemmeno la puzza» sentenzia duro D’Alema senza risparmiarsi giudizi netti sul nuovo governo Gentiloni, «è un governo finto», e previsioni fosche alle urne, «tanto al voto prenderanno una botta». Chissà se oggi l’ex premier e segretario del Pd, Renzi, darà una risposta a D’Alema. In attesa della «puzza», sicuramente tra i democratici si sente già odore di guerra.
Ilario Lombardo (La Stampa)
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