Milano 6 Gennaio – Uno dei tanti sterotipi che il mondo progressista in generale e fanatico ambientalista in particolare ripete ossessivamente è quello secondo il quale occorra costruire “città a misura d’uomo”, qualsiasi cosa si intenda con tale vaniloquio e, soprattutto, qualsiasi sia l’uomo a misura del quale costruirle: dalle politiche messe in opera a Milano, verrebbe da pensare che il paradigma di questo fantomatico uomo sia il benestante molto impegnato. Culturalmente, moralmente e, a parole, socialmente. Ma non certo lavorativamente.
Nell’edificazione di questo magico mondo fiabesco, uno dei dogmi irrinunciabili riguarda la criminalizzazione dell’automobile, ovviamente altrui, perché anche i più chic tra i radical chic a “Santa”, o a Capalbio, dove tra l’altro godono del vantaggio di non trovare sgraditi “migranti”, non vanno certo in bici. E gli esempi di (pessime) pratiche in tal senso si sprecano: per farsene un’idea, è sufficiente guardare l’agenda delle amministrazioni di sinistra che da oltre cinque anni governano Milano. Patologicamente ossessionate dalla guerra senza quartiere all’uso dell’automobile soprattutto da parte di chi ne ha bisogno, hanno impiegato tutte le risorse disponibili, anziché per fornire una sistema di mobilità integrato efficiente, per inventarsi vessazioni di ogni genere verso gli automobilisti.
Tra le tante, spicca l’incessante (sarebbero capaci di creare nuovi quartieri solo per potersi bullare di aver ridotto la velocità in essi…) realizzazione di zone con velocità limitata a 30 Km/h, spesso indotta, oltre che con la prescritta segnaletica, anche con modifiche inutili e orrende alle strade: dossi rallentatori (per superare i quali occorre un fuoristrada attrezzato da trial su roccia), allargamenti spropositati dei marciapiedi con colossali colate di cemento (ma a “cementificare” era la Moratti, secondo la vulgata arancione…) e ogni altra boiata immaginabile per rendere più lenta e complessa la circolazione delle auto. Non è, infatti, importante che la città sia efficiente o agevolare la vita dei milanesi, quanto, piuttosto, penalizzare con sadica fantasia quei reprobi degli automobilisti, ritenuti fobici, psichicamente turbati e animati da compulsioni antisociali, come del resto chiunque non vada a genio alla sinistra (quindi chiunque non sia ammantato della taumaturgica aura progressista, in grado di redimere miracolosamente qualsiasi peccato). E limitarne la velocità ad andature che fanno girare il motore più alto (con conseguenti maggiori sforzo e consumo, nonché minor confort) anche in viali deserti (almeno fino a prima delle innovazioni di Maran e Granelli) è una delle tante punizioni possibili, per altro facilmente (s)vendibile ai più sprovveduti – se a sinistra rivedessero almeno parzialmente il loro odio per l’auto altrui, potrebbero dedicarsi con successo alla vendita di vetture usate – come grande conquista di civiltà e sicurezza.
Del resto, giusto meno di due mesi fa, l’attuale assessore all’immobilità Granelli si era prodotto nel grottesco elogio, invero molto moraleggiante, della lentezza come nuovo stile di vita (dimenticandosi di precisare “per chi se lo può permettere”) e buona parte di quell’associazionismo di intransigenti della pedalata che costituisce una cospicua quota dei pasdaran della rivoluzione arancione non perde occasione per sottolineare la pericolosità dell’automobile e chiederne la messa al bando.
In perfetta coerenza, quella tipica delle amministrazioni radical chic, con quanto espresso sopra, da qualche mese si è affacciato sul mercato meneghino, con la benedizione di Maran e Granelli, un nuovo operatore di car sharing, il quale ha aderito al contorto e cervellotico bando emanato dalla precedente amministrazione (di cui l’attuale è la perfetta continuazione, soprattutto per quanto riguarda le politiche di immobilità…), proponendo vetture di nicchia, addirittura in alcuni casi cabriolet, con propulsori sovralimentati piuttosto potenti, assetti sportivi, ecc.: il tutto, per le modiche cifre di trentadue o trentaquattro centesimi al minuto, a seconda del modello scelto.
Un prezzo decisamente elevato, sensibilmente superiore alla concorrenza e, soprattutto, non certo alla portata di tutte le tasche.
Lo stesso amministratore delegato della società che gestisce questo nuovo operatore ha dichiarato, in un’intervista rilasciata allo “speciale Milano” sul fascicolo di novembre di una storica rivista automobilistica meneghina, che il costo del servizio offerto è adeguato al livello delle vetture proposte, lasciando chiaramente intendere che il servizio è dedicato a chi cerca vetture di fascia alta, prestigiose e potenti.
Insomma, veicoli prestazionali, ricercati, a volte tutt’altro che pratici e sicuramente costosi: proprio quello di cui è noto abbia bisogno il medio lavoratore milanese che non può usare la sua auto di proprietà perché oggetto delle angherie perpetrate dalle giunte comuniste.
Un manutentore, con borsa degli attrezzi, ricambi e strumenti vari, sarà felice, anziché servirsi di un pratico minivan sempre a sua disposizione, di dover spendere capitali per circolare con una ingombrante e potente cabriolet da cercare in giro per la città.
Senza contare che è davvero incomprensibile come si possano contemperare le chiacchiere sulla lentezza come stile di vita (a tutti piacerebbe passare le giornate senza lavorare pedalando da un aperitivo all’altro, poi però c’è la realtà, quella che la caviar gauche che governa Milano, stando rigorosamente chiusa nella sua eburnea torre, rifiuta di guardare in faccia, preferendole pregiudizi di valore…) e la pericolosità dell’automobile (per cui ne va limitato e rallentato l’uso) con il fatto che lo stesso Comune che propala le suddette scemenze da cazzeggio pre serale sponsorizzi un servizio di car sharing che impiega vetture potenti, in grado di raggiungere prestazioni inavvicinabili per la media delle automobili dei privati cittadini e con tariffa a minutaggio. Non vi è chi non veda (a parte Maran e Granelli) come una siffatta tariffa, per forza di cose (e cioè per guadagnar tempo), induca gli utenti a cercar di sfruttare dette elevatissime prestazioni. Cioè a fare l’esatto opposto di quel che l’amministrazione predica e cerca di imporre.
Per non parlare del fatto che il noto e grottesco bando per i nuovi operatori di car sharing era un coacervo di burocratiche pedanterie, la maggior parte delle quali di stampo ecologista (come se, per altro, i problemi ambientali dipendessero dalla circolazione stradale…), in cui si leggevano perle di autentico culto come la promessa di ipotetici vantaggi per quegli operatori che avessero “previsto meccanismi premiali nei confronti degli utenti che si fossero distinti per uno stile di guida ecologico” (per la decrittazione rivolgersi a Maran, contattare rigorosamente in orario di happy hour): difficile vedere un nesso o una coerenza con il fatto che l’unico nuovo operatore che si sia presentato aderendo al bando e sia poi stato lanciato in pompa magna dall’attuale amministrazione abbia in gamma quasi solo vetture famose per la loro sportività e le loro prestazioni velocistiche.
Sia chiaro, nessuno vuole criticare i veicoli dell’ultimo operatore che ha da poco preso servizio a Milano (chi scrive, anzi, li apprezza molto), tanto meno si vuole negare la possibilità che sul mercato del car sharing ci sia un’ampia offerta di modelli, compresi quelli, chiaramente più costosi, di fascia alta. Anzi, in astratto sarebbe un bene. Ma lo sarebbe in un contesto in cui i veicoli condivisi si configurassero come un’opportunità aggiuntiva per i cittadini, non come un quasi obbligo.
Nel momento in cui l’amministrazione, per deliberata e calcolata scelta ideologica, comprime in tutti i modi possibili l’utilizzo dell’auto privata, introducendo vessazioni oltre i limiti del sadismo (i percorsi obbligatori dopo alcune incomprensibili pedonalizzazioni sono torture cinesi), e non incrementa neppure l’efficienza dei mezzi pubblici (anzi, per anticipare di una quindicina di minuti l’inizio del servizio di alcune linee metropolitane, ATM ha ridotto drasticamente il servizio notturno), i car sharing convenzionati e sponsorizzati dal Comune (che godono di una serie di vantaggi negati alle auto di proprietà) assumono il ruolo, di fatto se non proprio di diritto, di servizio pubblico.
Se un milanese non può usare la propria auto e i mezzi pubblici sono insufficienti, il ricorso alle auto “condivise” diventa una necessità.
E allora, se di servizio pubblico, o di surrogato malriuscito di esso, si tratta, chiunque, tranne chi amministra Milano, capirebbe che gli operatori dovrebbero fornire ad una cifra accessibile servizi utili e alla portata della stragrande maggioranza dei cittadini, garantendo uno standard minimo che, almeno in parte, prescinda dalle regole di mercato.
Non, invece, servizi di lusso e voluttuari, quantomeno finché le esigenze primarie di tutti i cittadini non siano soddisfatte.
Vetture di nicchia, potenti e costose possono benissimo esser sul mercato e sicuramente avranno successo tra le fasce più abbienti, ma non possono esser “necessarie”, tantomeno possono rimediare a quel vulnus di mobilità, mai colmato (la sparizione di centinaia di vetture a disposizione dei cittadini non è stata compensata né con un miglioramento del servizio ATM, né con la riduzione delle angherie contro le auto di proprietà), causato dal fallimento di un operatore più economico nell’ormai lontano novembre 2015: possono, al contrario, esser un qualcosa in più per chi le vuole e può permettersele.
Non può un cittadino che esca di notte dall’ufficio (e sono tanti i milanesi a dover tirar notte sul lavoro, ma Granelli e soci dopo una cert’ora sono impegnati con l’aperitivo e non sanno quel che succede nel mondo reale) non trovare né un mezzo pubblico né una vettura condivisa a un costo accessibile, ma solo una costosa e lussuosa sportiva (con tanto di sovrapprezzo per il parcheggio nelle periferie, trattate dalle giunte di sinistra come latrine da disprezzare nonostante i roboanti proclami sull’inclusione) e doversi per forza servire di quella.
Ma chi ha redatto i bandi era troppo impegnato a infarcirli di contorte, cervellotiche, astruse e grottesche assurdità politicamente corrette ed ecologiste per pensare a preoccuparsi anche delle esigenze concrete di tutti quei cittadini che, anziché passare serate in qualche esclusivo circolo a discettare dei mali del mondo, sono costretti a lavorare per sopravvivere.
E’, quindi, ancora una volta, evidente l’estrema contraddizione che l’approccio fanatico ideologico che caratterizza le amministrazioni rosso arancioni porta con sé: mentre aumentano le tariffe della sosta (la seconda volta in due anni, una follia), vengono tagliati ulteriori stalli di parcheggio, vengono inasprite le regole di Area C e vengono “rimodulate” (che, tradotto dal comunistesco, significa, nel caso di specie, che ATM taglia le corse) le frequenze e gli orari di alcuni mezzi pubblici, ai milanesi che necessitano di muoversi e poter lavorare per cercare di tenere a galla le proprie attività già duramente provate dalla crisi (e da più di cinque anni di pessime amministrazioni), vengono offerte costosissime e poco pratiche vetture sportive, con l’ordine (a questo punto davvero grottesco) però di non superare i 30Km/h.
Se non fosse che il portafoglio dei cittadini meneghini, grazie anche a tutte queste boiate che servono solo alle oligarchie progressiste per costruirsi una città su misura in cui chi non può permettersi di farne parte viene espulso con disprezzo, già da tempo piange, ci sarebbe da scompisciarsi dal ridere.
Alessandro Barra
Milanese di nascita (nel 1979) e praticante la milanesità, avvocato in orario di ufficio, appassionato di storia, Milano (e tutto quel che la riguarda), politica, pipe, birra artigianale e Inter in ogni momento della giornata.
Mi improvviso scribacchino su Milano Post perché mi consente di dar sfogo alla passione per Milano e a quella per la politica insieme.