Milano 10 Gennaio – I soldi non fanno rumore. Se ne vanno in silenzio, senza prendere l’aereo. Basta un clic o una telefonata al proprio consulente finanziario: disinvesti in btp, acquista bund; disinvesti da un titolo italiano, comprane uno francese, tedesco, americano. Non guadagna titoli dei giornali, la fuga del risparmio, ma è in atto da anni e negli ultimi mesi ha accelerato la sua corsa.
A registrarla è Target2, il sistema di pagamenti della Banca Centrale Europea, che registra tutte le transazioni monetarie tra i vari Paesi dell’Eurozona e che ebbe un picco di inattesa notorietà tra il 2011 e il 2012, quando nel bel mezzo della tempesta speculativa sui titoli di Stato dei Paesi mediterranei raccontò meglio di qualunque analisi, i massicci spostamenti di depositi da quella che ormai siamo abituati a chiamare periferia (Spagna, Italia, Grecia, Irlanda e Portogallo) verso il nocciolo duro, il “core”, dell’unione monetaria (Germania, Lussemburgo, Olanda e Finlandia). Per farla molto breve – c’è un bell’articolo di Maurizio Ricci di Repubblica, per chi vuole farsi un’idea più dettagliata -, da quando la Bce si è messa a comprare Btp nell’ambito del cosiddetto piano di alleggerimento quantitativo che Mario Draghi ha messo in atto per far salire un po’ i prezzi e per creare uno scudo contro le tempeste speculative sui titoli di Stato, sono stati soprattutto i risparmiatori italiani a vendere i propri buoni all’istituto di Francoforte.
Il grafico, impietoso, di Target2 mostra come negli ultimi due anni l’Italia sia il Paese da cui è uscito più capitale. Dal 2014 ad oggi, i residenti in Italia hanno acquistato quote di fondi comuni di investimento esteri per 132 miliardi di euro e titoli esteri per circa 90 miliardi. Nello stesso periodo di tempo, la Banca d’Italia ha visto crescere le proprie passività di 137 miliardi. Sì, più che dalla Grecia, dalla Spagna e dal Portogallo. Un pessimo segnale di sfiducia e preoccupazione verso le possibilità di ripresa del Paese. Ma anche, se vogliamo lo sguardo all’accelerazione degli ultimi mesi, una risposta perentoria alle turbolenze e agli scandali che hanno coinvolto il sistema bancario italiano.
Non giriamoci troppo attorno: quel che è successo agli azionisti e agli obbligazionisti subordinati del Monte dei Paschi di Siena, di Banca Popolare di Vicenza, di Veneto Banca, di Banca Etruria, di Banca Marche, della Cassa di Risparmio di Chieti e di quella di Ferrara, buone ultime pure alle vecchiette che tra il 2002 e il 2005 avevano investito i loro risparmi in quote da 2500 euro l’una di un fondo immobiliare delle Poste, quote che oggi, col fondo prossimo alla chiusura, ne valgono 390, rappresenta il più straordinario disincentivo a investire i propri capitali in realtà italiane.
Ancor di più, se pensiamo al fatto che tutto ciò sia potuto impunemente accadere senza che la Banca d’Italia e la Consob, che dovrebbero vigilare sulla tutela del risparmio e dell’investimento, si siano accorte che c’erano banche che prestavano denaro in cambio di azioni e obbligazioni della banca, o che ai pensionati in fila agli sportelli venivano spacciati come privi di rischio investimenti che evidentemente non lo erano.
Non è la prima volta che accade, certo. I bond argentini, così come quelli di Cirio e di Parmalat, sono ferite ancora aperte, nell’immaginario del risparmiatore italiano. Ma proprio per questo, avrebbe dovuto esserci ancor più cautela e altrettanta assunzione di responsabilità da parte degli istituti di credito e di quelli di vigilanza, nel far si che il risparmio italiano – quel materasso che ci ha sempre evitato guai peggiori, quando le cose andavano male – non fosse, ancora una volta, tradito. E non decidesse, a sua volta, di tradire.
Ora i risparmiatori non si fidano più dell’Italia e di chi gli dice che dovevano leggere i prospetti informativi con più attenzione? Fanno bene. Il mercato dei capitali è aperto e la tecnologia renderà sempre più facile andare a mettere i soldi altrove. Magari arriverà un fondo del Qatar a prendersi una banca italiana, e un fondo americano a prendersi le sue sofferenze. Magari Mario Draghi continuerà, finché avrà senso farlo, a comprarci titoli di Stato. Nel migliore dei casi, se non tirerà aria di tempesta, galleggeremo. Ma conviene piantarcelo bene in testa, prima di alimentare false illusioni su una futuribile ripresa: un Paese senza cervelli, senza capitali e senza la fiducia dei suoi stessi cittadini non va da nessuna parte.
Francesco Cancellato (Linkiesta)
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