Milano 11 Gennaio – C’è chi accumula oggetti e chi esseri viventi. Nelle ‘case da incubo’ ci sono anche loro: decine di cani e gatti, a volte anche tartarughe e conigli, costretti a condividere pochi metri quadrati e un destino di degrado. Una vita da ‘pet sommersi’. E quando la loro condizione di disagio viene a galla e scatta l’intervento degli operatori che si occupano di questi casi, li aspetta un lungo percorso prima di recuperare il benessere perduto. Tra l’abisso e la prospettiva di una nuova famiglia, in mezzo anche anni di attesa e iter burocratici obbligati. Non sempre il lieto fine è assicurato: per alcuni di questi animali il campanello d’allarme suona troppo tardi, quando le loro condizioni sono ormai disperate. Per altri, provati da anni di sofferenza, l’approdo definitivo rimane il canile-gattile. Un rifugio dignitoso dove invecchiare. A Milano c’è una squadra di ‘angeli custodi’ che prova a tirarli fuori dal meccanismo in cui sono finiti gioco-forza. Per liberarli da una vita da reclusi, scendono in campo dall’Ats – con veterinari e tecnici della prevenzione – alla polizia locale dove da fine 2014 è stata attivata un’Unità dedicata. Nel 2016 sono stati una quindicina i casi trattati – risultano 13 gli interventi congiunti – per un totale di quasi un centinaio di animali gestiti, circa una quarantina di cani e altrettanti gatti. Nella metropoli dove dal 2010 sono stati scoperti centinaia di ‘accumulatori compulsivi’, l’Ats ha un numero di telefono (02-85787670) e un indirizzo email (infoaccumulatori@ats-milano.it) dedicati. “In media una volta al mese ci capita di occuparci di casi di ‘animal hoarding’”, spiegano gli esperti all’AdnKronos Salute. “E’ stato un crescendo rispetto al 2015, quando gli interventi erano rimasti sotto la decina”. Nei sopralluoghi che scattano a seguito di segnalazioni, il team si è trovato davanti a scenari disperati. Mini appartamenti in cui erano rinchiusi anche 25-30 animali, in condizioni igieniche desolanti. Cani e gatti in locali sporchi e pieni di escrementi. “In alcuni casi basta suonare al campanello per scatenare l’inferno di latrati”, racconta Giovanni Armando Costa del Servizio di igiene pubblica dell’Ats milanese, tecnico della prevenzione che dal 2010 si occupa delle case delle ‘anime sommerse’. A volte si tratta di accumulatori seriali che, oltre alla baraonda di scatole, vestiti, vecchi elettrodomestici e rifiuti di ogni genere, hanno con sé animali. “Ne basta uno per aggravare una situazione di degrado già critica”. In altri casi l’obiettivo sono proprio loro: i pet. Gli accumulatori continuano a cercarli e se li mettono in casa. E non basta un sopralluogo – e tutte le operazioni che ne conseguono – a fare piazza pulita definitivamente. Le recidive sono la norma e la gestione dei casi è sempre molto delicata. In più il quadro normativo attuale non aiuta più di tanto. “C’è un regolamento regionale, confermato nella legge di riforma del sistema socio-sanitario lombardo, secondo cui si possono tenere in un appartamento, indipendentemente dalle dimensioni, fino a 10 animali. Oltre questa soglia si è tenuti a comunicarlo, non sono previste sanzioni”, spiega Massimo Rocco, direttore Distretto veterinario Sud, Ats Città Metropolitana di Milano. Gli esperti si sono fatti forza con l’esperienza, hanno scelto di lavorare in squadra per essere più efficaci, mettendo a punto un vero e proprio protocollo d’intervento. Per esempio, spiega Liliana Mauri, commissario dell’Unità ecologia e tutela animali della polizia locale milanese, “ci siamo resi conto che dopo l’intervento vero e proprio, verifiche periodiche agli appartamenti permettono di riprendere in tempo la situazione nel caso in cui la persona torni ad accumulare animali”. Ci si muove per gradi, evitando quando possibile interventi più pesanti che aprono un iter lungo e complicato, creando disagio ulteriore ai quattrozampe. In questo modo si è riusciti per esempio a evitare che una donna arrivata a custodire fino a una dozzina di cani l’anno scorso tornasse agli stessi livelli. “L’approccio alla persona conta. Bisogna conquistarne la fiducia”, racconta Donatella Aureli, dirigente veterinario Ats. “Basta una parola sbagliata a mettere a rischio l’operazione di recupero degli animali”. Il problema è per l’igiene di tutti, uomini e animali. Non solo all’interno delle case sommerse, ma anche nel contesto condominiale. “Abbiamo saputo di vicini costretti a cambiare casa”, racconta Costa. Le vittime del ‘mal di accumulo’ sono di ogni classe sociale: benestanti e insospettabili, con lavori talvolta di prestigio, o persone sole, residenti in quartieri disagiati o alloggi popolari, che arrivano a impoverirsi ancora di più per accudire un numero ormai ingestibile di animali. “Una gattara 90enne ha dilapidato i suoi averi per sfamare i gatti”, racconta Aureli. “I profili di chi soffre di ‘animal hoarding’ sono diversi: si va dall’accumulatore sopraffatto, che è convinto di far del bene ma la situazione gli sfugge di mano, allo sfruttatore che tiene tanti animali in più appartamenti, senza curarsi del benessere, per motivi economici o utilitaristici”, elenca Rocco. Si cerca dunque di convincerli ad “affidare alcuni animali, non tutti insieme per evitare che vadano a cercarne altri”, spiega Mauri. “Il primo step è chiedere di cedere gli animali al Comune in via definitiva” per arrivare in tempi brevi a un’adozione a una famiglia selezionata. “Si sterilizzano gli animali rimasti per evitare che continuino a riprodursi – continua Rocco – In queste case avvengono accoppiamenti indesiderati, si registrano casi di consanguineità, denutrizione, malattie. Alcuni animali muoiono di trascuratezza. In passato siamo stati costretti a sopprimere un’intera colonia felina affetta da una grave malattia”. Se l’accumulatore non si attiene alle indicazioni date, anche con ordinanza igienico-sanitaria, “lo step successivo è indagarlo per il reato di maltrattamento di animali e procedere al sequestro”, dice Mauri. Il percorso che si apre dura mesi, andando di pari passo con il procedimento giudiziario. “Ci sono situazioni delicate – aggiunge Costa – in cui vengono coinvolti anche minori e familiari, costretti a convivere con decine di cani in una stanza sola. Vanno sensibilizzati anche i veterinari privati che possono entrare più facilmente in contatto con queste persone”. Dopo il sequestro, il futuro può essere l’adozione o l’affido. In alcuni casi è più difficile. “Ci sono gatti vecchi e malati nel gattile comunale che nessuno prende. Altrettanti problemi con cani che dopo la vita da reclusi sono diventati aggressivi”, spiega Aureli. Più facile per i pet “belli, giovani e di razza. C’è stato un caso di bulldog francesi ‘andati a ruba’”. Mauri ricorda in un appartamento di una donna, affollato di cani, un setter femmina, “bellissima e spaventata – racconta – Era stata abbandonata da un cacciatore e questa signora se l’era portata a casa, dove un branco di meticci l’aveva sottomessa”. Trovare una nuova famiglia è stato semplice per 23 gatti siberiani sequestrati su un totale di 33 in un unico appartamento, anche se per questioni burocratiche sono rimasti mesi nel gattile-rifugio della rete comunale. “Non potevano essere sterilizzati perché sotto sequestro, si è dovuto dividere i maschi dalle femmine e adibire un locale. La loro gestione ha sottratto risorse ad altri gatti sfortunati, gravando sulle casse pubbliche. Tanto più che le strutture di accoglienza non sono tante”, ricorda Rocco. L’affido a terzi fa bene a tutti. “Per i gatti siberiani il procedimento penale è in corso e sono stati dati in affido giudiziale a famiglie consapevoli del rischio di doverli restituire in caso di un esito a favore dell’accumulatrice. Spesso si crea un ulteriore problema emotivo per chi accoglie. Gli accumulatori generalmente rivogliono indietro i loro animali, non sentono ragioni”, dice Mauri. “I cani vengono visitati e chippati e trasferiti al canile, i gatti finiscono nel gattile”. Oltre al problema logistico ed economico da affrontare nella contingenza, “va evitato che la persona torni ad accumulare di nuovo. Noi stiamo testando un modello coordinato di intervento”, spiega Rocco. Una catena che ha “un anello debole”. Sul fronte sociale, dell’assistenza ai soggetti colpiti da ‘animal hoarding’, “va fatto di più. Sono persone che hanno bisogno di essere seguite, il loro problema va trattato”. Perché il rischio, aggiunge Costa, è che si ripiombi in una condizione anche peggiore di quando si è intervenuti. “E se succede, vuol dire che qualcosa non ha funzionato”.
A cura di Filomena Fotia (Meteoweb)
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