Milano 19 Gennaio – Il fatto, riferito da Il Giornale è noto: “…a Moncalieri, poco fuori Torino, uno studente diciassettenne è stato sospeso dalla scuola per avere ripetutamente comprato alcune merende al supermercato per poi venderle agli amici. Secondo quanto raccontano i cronisti, sembra che il giovane abbia anche un certo fiuto degli affari e che nel tempo abbia imparato a rifornirsi dove questi prodotti sono meno costosi, riuscendo pure a farsi un’idea sempre più precisa dei gusti dei compagni…. Il ragazzo era stato premiato dalla Fondazione Luigi Einaudi di Roma attraverso una borsa di studio per la sua spiccata attitudine all’imprenditoria applicata mentre a scuola hanno deciso un provvedimento diverso e più costruttivo, a detta del Consiglio….” Infatti “…il dirigente della scuola Stefano Fava ha emesso un provvedimento secondo cui per 15 giorni lo studente dovrà presentarsi all’associazione Terza Settimana di Torino che porta avanti un progetto di aiuto sostenibile per le famiglie in stato di difficoltà economica.”
Osserva Carlo Lottieri sempre su Il Giornale “Per il preside dell’Itis piemontese il comportamento imprenditoriale assunto dal giovane torinese sarebbe semplicemente disdicevole, dato che la scuola ha il compito di educare alla legalità. Ma cosa ci sarebbe di «criminale» nel vendere merende? La risposta è semplice: in Italia chiunque voglia commerciare deve avere licenze e autorizzazioni, e senza questi pezzi di carta perfino il comportamento più innocuo (e in grado di generare benefici sociali) va censurato. Per giunta, ha aggiunto il dirigente scolastico, non ci sono garanzie in merito alla sicurezza alimentare e la scuola deve tutelare la salute dei ragazzi. Se le cose stessero così, però, bisognerebbe impedire anche di donare un sacchetto di patatine al compagno di banco. E allora risulta chiaro come sullo sfondo sia facile riconoscere l’antico pregiudizio contro il profitto imprenditoriale, contro lo spirito libertario, contro la logica capitalistica. Un’istruzione monopolizzata da burocrati di Stato può solo disprezzare chi, all’età di diciassette anni, preferisce la pratica del marketing allo studio dell’astronomia.
La stessa esaltazione della legalità in un caso come questo dovrebbe farci rabbrividire, dal momento che non c’è alcuna giustificazione (etica, economica o di altro tipo) nella proibizione a commerciare in assenza di un’autorizzazione di Stato. La scuola deve certo spiegare ai giovani com’è fatto il mondo e quanti lacci e lacciuoli intralciano la nostra vita, ma non necessariamente deve giustificare la costante aggressione ai diritti fondamentali: dal diritto di proprietà a quello di libera iniziativa.”
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