Il nuovo anno 1666 a Roma

Attualità

Milano 22 Gennaio – Nel 1666 disastri, maremoti, scuotimenti di terre, ghiacciate e gelo, assemblati agli incendi delle prime metropoli, allora tutte di legno, sconvolgevano la terra. L’umore umano amareggiato, stanco e rassegnato accoglieva queste manifestazioni naturali con dolore ma senza sorpresa. Pareva che la natura stessa esprimesse lo stato d’animo buio degli umani, come un fraterno accompagnamento di chi condivide la mala sorte. Solo chi era al supremo comando non se ne accorgeva, o meglio allontanava da sé il pensiero, scacciandolo come insetto molesto, oppure riversandone le colpe sulle corti dei miracoli, fitte di poveri, affamati, senzatetto e sciancati. Era il tempo di una rediviva cena cypriani, dove un’emiliana cattolica regnava sugli inglesi ed il Re Sole, principe del recente credo nazionalista, credeva che bastasse Bruxelles per ricostruire l’impero degli avi ed una qualunque globalizzazione. Anche noi siamo entrati in un nuovo anno 1666. Credevamo fosse il 2017 ma in realtà indietreggiavamo nel tempo pre ragione poiché la testa, come un girone dantesco, era tutta girata all’indietro. Su quest’anno nuovo ancora non nato, già cadevano a terra le speranze, spesso per natura intrecciate di credulonerie, abbattute sul nascere dalla morte di Babbo Natale e da improbabili a-cristiani transpresepi. Qualunque pietà di Natale era morta colpita dal sangue del terrore e di ritorno da quello vendicativo del’istituzione. Il buio tunnel premoderno, senza pietà, aveva, a mò di clava, abbattuto un nuovo stile di natività sulla testa di 1666 persone e famiglie con altrettante lettere di licenziamento datate pre vigilia. Un messaggio preciso di nero carbone, rivolto contro chi era reo di operare nel settore della comunicazione innovativa e soprattutto contro chi lo faceva a Roma. A sberleffo e schiaffo, altri dello stesso settore di diverse regioni storicamente con conti ancor più rossi, venivano graziati sia dalla malasorte che addiritura dai rischi di cambio di sede di lavoro. Perché fosse chiaro, con l’esempio consumato ai danni del call center più grande della Capitale, che l’Urbe nel suo rovinoso precipitare ormai non potesse, come avvenuto per secoli, schermare di vantaggi il proprio popolo, ma anzi solo riservargli la sorte peggiore. In quella che era la prima città del mondo, tutti gli strati di passati, recenti, nuovi e futuri vicerè locali hanno dunque continuato a perseguire il loro aggirarsi intorno ad inveirsi l’un l’altro contro, come puri fantasmi, non solo non creduti, ma neanche visti, dal popolo e dal popolino. Incapaci di pensare, proporre, fare alcunché, se non dividersi in mille frammenti e frattaglie, di fronte alla necrosi del lavoro, dell’innovazione, della cultura, della memoria; di fronte al gelo da tempo immemore mai tanto sofferto, al vento tempestoso, ai turbinii di freddo, ai clochard morti per strada ed ai turisti sotterrati dalla neve tra nuovi scuotimenti di terra. I potenti locali, di fronte all’accanimento naturale sull’area centrale del paese, e l’Urbe tutta si sono spaventati ancora più dei terremotati, con la scusa del ruolo di riferimento simbolico e geografico, infettati ormai della malattia di un carattere ormai sfatto, esacerbato, pusillanime e terrorizzato a prescindere. Nel nuovo anno 1666, colpe e danni di tanta triste empietà, regressione di mentalità apicale e sociale, sono state tutti imputati ai portavoce sindacali delle neo corti sindacali dei miracoli, quasi fossero i sindacati, ed i loro umili rappresentanti aziendali, decisori ultimi. La nuova redivida cena cypriani, dove il gotha politico della capitale e del centro Italia festeggia, si trova ad  una distanza siderale dalle popolazioni sottomesse ed abbandonate. Scomparso dai propri palazzi, dalle vie e dal potere dell’Urbe, il ceto di comando romano, tra una coorte di fantasmi, ha voluto proprio il suo membro più evanescente, quello un tempo più incapace e sconfitto, poi allontanato per opportunità, per cogliere il palmares del diritto di tribuna europeo. Il premio, ghignato nel buio delle ossa e delle menti umide, irride all’umano ed alla natura. E’ il trionfo dei titoli gloriosi barocchi sine substanzia senza intenzioni, proposizioni, eventualmente senza neanche indecisioni, che non si cura della peste oltre il paravento. E’ il nostro nuovo anno, 1666.

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