Milano 25 Gennaio – Lavorare tutta la vita per avere una pensione inferiore a un terzo rispetto all’ultimo stipendio: se non aveste ancora dato un’occhiata alla busta arancione dell’Inps, quella che ci dice che reddito da pensione percepiremo a tempo debito, sarebbe il caso di farlo. Perché ogni volta che si leggono dei dati sulle erogazioni pensionistiche con il sistema contributivo ci si rende conto dell’enorme rimozione di un problema che travolgerà la vita di chi oggi è giovane. Almeno se non si attrezza per tempo con pensioni integrative o altri investimenti. Le ultime cifre le ha date lunedì 23 gennaio Italia Oggi, riferite agli assegni erogati dalle casse di nuova generazione, quelle istituite con la legge 103 del 1996 (per biologi, agronomi e forestali, attuari e chimici, periti industriali e inferimeri). Ebbene, la pensione media erogata nel 2016 è stata di 2.224,60 euro, meno di 200 euro al mese, meno della metà, fa notare il quotidiano, della pensione sociale.
Le cifre devono essere contestualizzate, perché le casse di previdenza hanno solo 20 anni di vita e quindi gli assegni erogati fanno riferimento a un periodo di contribuzione al massimo ventennale. È per le proiezioni di carriera di 30 anni che bisogna preoccuparsi. Prendiamo uno psicologo o un biologo, ipotizziamo che abbia un reddito medio lordo di 20mila euro e che in 30 anni arrivi a percepire un reddito di 31mila euro. In questo caso la pensione sarà solo di 10mila euro, ossia il 32% dell’ultimo stipendio. Il contributivo funziona così, lo abbiamo imparato a partire dalla riforma Dini del 1995: conta il montante accumulato negli anni, ragionare rispetto agli ultimi redditi apparteneva al passato dorato del retributivo. Le cose, va detto, vanno un po’ meglio se i contributi sono stati versati nella gestione separata Inps. In quel caso, a parità di redditi, la pensione annua sarà di 20mila euro, ossia il 65% dell’ultimo stipendio. Ci si arriva, però, con una aliquota contributiva più alta, attualmente fissata al 25 per cento.
Le casse dei professionisti, invece, soprattutto negli anni passati hanno applicato aliquote molto basse, generalmente del 10 per cento, per non erodere troppo i redditi netti. A partire dal 2010, una dopo l’altra hanno provveduto ad alzare la percentuale, che oggi si attesta mediamente attorno al 15%e in alcuni casi potrà raggiungere il 19 per cento (in questo rapporto del Sole 24 Ore c’è il dettaglio cassa per cassa). Per rendere meno drammatica la situazione degli iscritti, molte casse hanno previsto un versamento facoltativo da affiancare all’aliquota obbligatoria. O hanno cercato, aggiunge Italia Oggi, di aggiungere al montante contributivo parte delle somme che sarebbero destinate alla gestione dell’ente o alle riserve. Sono stati previsti in alcuni casi servizi aggiuntivi di welfare, mentre per tagliare i costi è allo studio da tempo la gestione in comune tra più casse di alcuni servizi amministrativi.
Rimane però il fatto che più di tanto non ci si potrà discostare dalla proiezioni e che bisogna fare i conti con la necessità di alzare i contributi, anche con pensioni integrative, o con la prospettiva di pensioni molto più povere di quelle che hanno avuto i nostri padri. Magari più consapevolezza potrà evitare in futuro quello che il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha etichettato come un “aumento del debito implicito”, riferendosi agli aumenti delle pensioni per chi le percepisce oggi (come per la quattordicesima) previsti dall’ultima legge di Bilancio.
Fabrizio Patti (Linkiesta)
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