Caos Pd, la vendetta di D’Alema è la scissione. E Renzi?

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Milano 30 Gennaio – Il centrosinistra riparte da Massimo D’Alema. Già, ma quale centrosinistra? In sala al centro congressi Frentani di Roma non c’è una poltrona libera, più di cinquecento persone, anche alcuni giovani. C’è Roberto Speranza che poi raggiungerà l’assemblea nazionale del Pd a Rimini, giusto in tempo per l’intervento del segretario Matteo Renzi.

E diversi esponenti di Sinistra italiana: Arturo Scotto, Nicola Fratoianni, Alfredo D’Attorre. Ci sono poi l’Arci e la Cgil, l’avvocato anti-Italicum Felice Besostri, il fondatore dei comitati per il No al referendum costituzionale Alessandro Pace, Livia Turco. Assente il governatore pugliese antirenziano Michele Emiliano che però manda un messaggio. Il “lidèr” si prepara per andare alle urne anche in autonomia rispetto al Pd, se Renzi ne resta il segretario. D’Alema esclude tesseramenti “per non generare equivoci”, ma intanto, dando il via libera alla nascita del suo “movimento”, dice dal palco: “Raccogliete adesioni e prima di tutto fondi perché servono per lavorare e per essere pronti a qualsiasi evenienza”. Evenienza che chiarisce verso la fine del suo intervento quando annuncia che serve un congresso e non elezioni anticipate, “ma se prevarrà l’idea di correre al voto, una scelta di questo tipo renderebbe ciascuno libero”.

D’Alema, esperto, lancia la bomba nel finale con quel “libera tutti” che strappa l’applauso alla platea. Finita la parte destruens, comincia quella construens, puntellandola di frasi evocative che preludono a un nuovo inizio: “Si va ad altro”; “è stato impegnativo per il referendum, ma ora lo sarà ancora di più”; “questo incontro segna l’inizio di un gruppo di lavoro”; “è una giornata di militanza” e così via. Fino a quel “è cambiata la ragione sociale” che sta a indicare come non ci si rivolga soltanto a chi ha votato No il 4 dicembre, “ma anche a chi ha votato Sì? in buona fede”, aggiunge malizioso. “Questa è una riunione di lavoro: non è una riunione del No. Il No non c’è più, quel dibattito è chiuso”, sostiene.

Il messaggio a Renzi è chiaro: “Non si cambia politica senza cambio di rotta e, aggiungo affettuosamente, senza cambio di leadership”. Ci vuole un “dibattito serio, necessario e urgente” in quanto “abbiamo rotto con il nostro popolo”, ammette d’alema che concede: “è un processo che non è iniziato adesso, va detta la verità, e sarebbe sbagliato attribuirne una paternità esclusiva, ma non c’è dubbio che questi due ultimi anni di governo hanno accelerato gli effetti”. Più duro nel suo “bilancio del riformismo renziano” che dice di non voler fare ma alla fine fa, elencando il fallimento delle riforme, da quella costituzionale allo Jobs act fino all’affondo finale: “Sono mancati gli investimenti strategici e le grandi scelte per mettere in moto lo sviluppo”.

Sulla stessa linea il governatore della Toscana Enrico Rossi, sfidante di Matteo Renzi per la guida del Pd, secondo cui è “finita la fase del Lingotto che ebbe il suo epigono in Renzi”. Non a caso Rossi siede a un posto di distanza da d’alema. Da un’altra parte, invece, in prima fila il leader di Sinistra Riformista Roberto Speranza, qui perché “il Pd non diventi il partito dell’avventura”, che spiega: “Separati in casa? Io per la verità ascolto una parte del dibattito, intervengo e dopo vado a Rimini. Sono due mondi che devono ragionare insieme: sono parti della stessa comunità. Gli avversari sono il centrodestra e i populismi. C’è una discussione aperta, ma sono soltanto due punti di vista diversi sul referendum. Io lavoro perché questi due mondi non siano incomunicabili”. Un’utopia, forse.

Poco dopo Matteo Renzi prende la parola durante l’assemblea degli amministratori dem a Rimini: “I giornalisti qui presenti si aspettano che replicheremo a qualche altra assemblea. Peccato, vi è andata male. Ritenta sarai più fortunato”. Ma poi una “rispostina” arriva. “La competizione, con buona pace di qualche nostro compagno interno, sarà sostanzialmente a tre. Ci sarà l’area di Grillo, quella di destra e poi ci siamo noi. Non possiamo gridare allo sfascio ma ripartire da proposte concrete”, dice Renzi sulle elezioni con l’Italicum e il premio di maggioranza al 40% alla Camera “da superare per evitare il caos“. Anche se quell’asticella oggi appare inarrivabile.  (Il Tempo)

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