Nuovi autovelox e “mobilità sostenibile”: qualche puntualizzazione.

Milano

Milano 30 Gennaio – Dell’installazione di sette nuove postazioni fisse autovelox prevista a Milano per il mese di marzo si è già abbondantemente parlato, se n’è occupata anche la stampa specializzata, sollevando il legittimo dubbio che l’obiettivo del Comune non sia la sicurezza degli automobilisti, bensì quello di far facilmente cassa e, contemporaneamente, sottoporre gli automobilisti all’ennesima, sadica, vessazione. Un’autentica ossessione per le amministrazioni di centrosinistra, impegnate più a indirizzare e sfogare l’odio ideologico per anni represso a causa del crollo delle ideologie nelle quali han sempre creduto e al malsano culto delle quali sono cresciute, piuttosto che a governare la città risolvendone i problemi concreti.
E penalizzare, vessare, umiliare con sadica e lucida nequizia gli automobilisti non risolve alcun problema, tanto meno migliora la mobilità, semmai l’esatto contrario, la rende meno efficiente, più stressante e costosa per tutti coloro che sono costretti a lavorare per vivere, soprattutto quindi per quelli che il lavoro se lo devo conquistare e sudare ogni giorno: professionisti, piccoli imprenditori, artigiani, esercenti, commercianti, ma anche dipendenti delle piccole imprese, quelle che possono saltare dall’oggi al domani lasciando a casa i propri collaboratori. Tutti cittadini di Milano che sono degni di esser tali quanto i radical chic sfaccendati e che, a differenza di chi governa senza aver mai lavorato o dovuto impegnarsi per guadagnare la pagnotta, non timbrano il cartellino alle nove per uscire poi dal lavoro alle cinque, ma devono correre quotidianamente da una parte all’altra della città e anche dell’hinterland (e magari delle province limitrofe) per attendere ai propri incombenti e spesso lavorano dieci o dodici ore al giorno, non per arricchirsi, ma per riuscire a stare a galla nonostante la congiuntura particolarmente avversa a chi lavora (mentre i soloni della sinistra al caviale pontificano a proposito di quel che lavoro che, di persona, non conoscono affatto e, anzi, disprezzano, perché sporco, maleolente, portatore di problemi, ecc…).

Ovviamente, i gendarmi della rivoluzione arancione, cioè affiliati, amici e simpatizzanti di tutto quell’associazionismo fanatico ambientalista e ciclabile che ruota intorno alle amministrazioni di sinistra provvedendo a sanzionare, anche con azioni di puro squadrismo come i boicottaggi, chiunque si limiti a protestare o mettere in discussione i dogmi progressisti secondo cui è amministrata Milano, hanno subito inscenato una levata di scudi, tramite anche i propri guappi dislocati nei social network, intonando la scontata, trita e banale litania secondo cui basterebbe essere ligi alle disposizioni del codice della strada e non voler fare i furbi per non rischiare la pioggia di multe che, da qualche anno, sta letteralmente affogando gli automobilisti milanesi.

Insomma, la colpa sarebbe solo e soltanto dell’indisciplina degli automobilisti, descritta da tutti i soggetti di cui sopra come un naturale corollario dell’essere tali e, quindi, automaticamente individui fobici, psichicamente turbati e animati da compulsioni antisociali, dediti a perseguire con cinismo solo ed esclusivamente il proprio micragnoso e inutile particulare.

Ora, facendo chiaramente la tara e ripulendo il discorso dalle incrostazioni ideologiche che vogliono gli automobilisti in quanto tali come autonoma classe sociale (da abbattare) composta, nella migliore delle ipotesi, da osservanti e zelanti discepoli del Guicciardini, se le cose fossero effettivamente così, e cioè se si stesse parlando solo di disciplina e indisciplina al volante, i fanatici della pedalata e i radical chic che vogliono costruirsi una città su misura priva delle auto (altrui), nel caso concreto, avrebbero anche ragione. In fondo, il codice della strada va rispettato e l’utilizzo delle auto deve essere prudente e avveduto.

Il problema evidente è che la storia, anche recente, di Milano e non solo, ha insegnato che, nella maggior parte dei casi, gli autovelox sono utilizzati non per garantire la sicurezza degli automobilisti, quanto, piuttosto per fare cassa in modo facile e far quadrare il bilancio.

E’ chiaro che installare un dispositivo del genere su un viale di scorrimento (dove, magari, non ci sono neppure marciapiedi e attraversamenti, le carreggiate sono separate e “incanalate” in apposite corsie, ecc.) dove, però, ci sono limiti di velocità assurdamente contenuti, è un’inutile crudeltà che contribuisce a ingenerare traffico laddove, invece, proprio per consentire di decongestionare le zone residenziali limitrofe, occorrerebbe un’arteria che consenta agli automobilisti di disimpegnarsi con rapidità.

Ma non basta: perché un autovelox possa considerarsi un dispositivo per la sicurezza, la segnaletica deve essere chiara e univoca, diversamente contribuirà soltanto a creare confusione e conseguente pericolo per gli automobilisti.

Che è quanto avvenuto, per quasi un paio d’anni, con il micidiale autovelox disposto sul cavalcavia del Ghisallo, dove il limite di 70 Km/h, per lungo tempo, è stato tutt’altro che chiaro da comprendere, tra svincoli, divieti, limiti vari, segnali di fine limite, segnaletica in parte autostradale e in parte urbana, ecc.

Non era raro vedere, su quel tratto di strada, automobilisti distratti dalla guida e, quindi, potenziali pericoli per sé e per gli altri, impegnati a capire sia la direzione da prendere, sia l’effettivo limite di velocità, onde non incorrere in sanzioni.

Il Comune si è spesso giustificato adducendo la (presunta) riduzione del numero di incidenti proprio su quel tratto di strada, ma la statistica è fuorviante per il semplice fatto che, nel corso degli ultimi anni e da prima che installassero il dispositivo, il numero era già calante, probabilmente per il fatto che, complice la crisi economica e la chiusura di molte attività, il numero di autovetture che quotidianamente si reca in città si è comunque progressivamente ridotto. E nonostante questo e a dispetto dei fantasiosi numeri che per anni Maran ha propinato, sia detto per inciso, si registrano ingorghi mostruosi anche dove prima si circolava tranquillamente.

Inoltre, giusto per dimostrare che comunque non si sta facendo un processo alle intenzioni, l’amministrazione comunale ha da un lato dichiarato che investirà gli introiti derivanti dalle contravvenzioni che i nuovi dispositivi eleveranno in “mobilità sostenibile”, ma, quasi contemporaneamente, ha annunciato un taglio di fondi ad ATM, il cui funzionamento è già drasticamente peggiorato da quando Milano è amministrata dalla sinistra, per una quindicina di milioni di euro.

Non si comprende, quindi, o meglio non si vorrebbe, perché in realtà, purtroppo, si comprende benissimo, di quale mobilità sostenibile vadano cianciando Granelli e compari. E’ evidente che, a fronte dell’ennesima repressione degli automobilisti con la scusa della sicurezza, l’amministrazione Sala proseguirà nelle due disastrose direzioni intraprese da quella precedente: realizzare ciclabili malfatte (si veda quella tragicomica a ostacoli di viale Tunisia), poco utilizzate e finalizzate soltanto a eliminare preziosi stalli per il posteggio delle autovetture (come sta avvenendo anche in viale Monterosa nel tratto tra piazza Amendola e piazza Buonarroti) e ridurre la dimensione delle carreggiate (spesso con chilometriche e orrende colate di cemento, si veda la mostruosità di Largo Cherubini, ma, per andare in periferia, anche via Borsa al quartiere San Leonardo), e promuovere iniziative e limitazioni tali da spingere con ogni mezzo i cittadini verso l’uso dei cosiddetti car sharing.

Due soluzioni assolutamente insufficienti a colmare le esigenze di mobilità dei cittadini, specie a fronte della feroce repressione dell’uso dell’auto privata e del continuo taglio delle corse dei mezzi pubblici: la bici è sicuramente un’ottima soluzione per molte necessità, ma è lontanissima dall’esser l’unica percorribile, oltre a non esser a portata di tutti (alcuni problemi di salute o invalidità sono poco compatibili). La ciclabilità è un’eccellente integrazione di diverse forme di mobilità, strutturate tra loro con logica e in base ai problemi evidenziati dai cittadini, non imposta con la forza in base a pregiudizi ideologici e al solo scopo di mortificare il traffico automobilistico privato. Le piste ciclabili sono necessarie, ma vanno fatte con criterio, non possono essere un pretesto (costoso, visto quello che il Comune spende per realizzarne di oscene) per restringere le carreggiate e eliminare stalli di parcheggio, come per esempio avvenuto con la mostruosità realizzata in prossimità della Triennale, dove, oltre all’eliminazione dei parcheggi (utilizzati per la Triennale, per un noto ristorante e un’altrettanto nota discoteca), è stata perpetrata anche quella della preferenziale ATM, con spostamento della fermata in cima ad una salita dove, per altro, a parte un semaforo, non c’è assolutamente nulla. In un colpo solo, il fanatismo ideologico dell’amministrazione, o, se si preferisce, il mistico afflato verso l’insostenibile “mobilità sostenibile” (quella da finanziare con i nuovi autovelox trappola) ha privato tre realtà molto frequentate dei parcheggi, ha reso la fermata ATM più difficilmente raggiungibile da chi ha difficoltà deambulatorie (ma forse non è un problema, nell’eugenetica sociale e urbana della sinistra nostalgica del dirigismo sovietico e impregnata di ingegneria sociale sessantottarda, chi non è fisicamente aitante, oltre che benestante, alla moda e un po’ arcobaleno oggi non ha diritto di entrare in centro e, un domani, in Milano, città avamposto del progressismo selettivo e della nuova razza elitaria che la sinistra crede di poter creare in laboratorio a colpi di balle vecchie come il marxismo…) e ha ingorgato l’incrocio piazzando la fermata dell’autobus proprio in prossimità del semaforo, causando code che, in certi orari, arrivano fino quasi in piazza Cadorna.

Quanto, poi, al presunto car sharing, bisogna dire che non toglie auto dalla strada, semmai sostituisce le scalcagnate utilitarie dei lavoratori milanesi con cabriolet potenti ed eleganti da noleggiare a costi proibitivi e con uso ben più limitato rispetto all’auto di proprietà, senza contare il sovrapprezzo per chi le usa in quelle periferie colpevoli di non aver votato compatte per Sala e, quindi, d’ostacolo alla realizzazione del sogno (per chi lo subisce, un incubo) progressista.
Inoltre, anche se la vulgata propalata dall’agit prop progressista insiste con la definizione di car sharing, chiaramente in coerenza con il marketing delle multinazionali che erogano questo tipo di servizi, si tratta di banali noleggi senza conducente. Quindi, il Comune riduce il servizio e l’efficienza dei mezzi pubblici (che viaggiano sempre carichi ai limiti del collasso, segno che senza bisogno delle imposizioni rieducative imposte da Majorino i milanesi li usano, e non da oggi) in modo sistematico, vessa le autovetture private e poi costringe i cittadini a noleggiare veicoli con un uso ristretto, che spesso non si ha neppure la certezza di reperire, e a costi elevatissimi. Con guadagno solo da parte del Comune (e delle multinazionali), che poi spende i soldi incamerati vessando nuovamente i cittadini in tutti i modi possibili per rivender loro altri servizi che, a questo punto, dovrebbero esser gratuiti o, peggio ancora, per finanziare iniziative di pura propaganda ideologica: dai corsi sadomaso (!) alle esibizioni di cuochi migranti (!!), passando per non meglio identificate iniziative “inclusive”, chiaramente gestite da associazioni facenti parte della galassia che circonda l’amministrazione e fortemente connotate da ideologia vetero marxista, con acuti di autentico lirismo maoista, di quelle in cui gli unici ad esser esclusi sono i cittadini regolari e che pagano le tasse.

Se questa è la “sicurezza” che il Comune vuole introdurre in città con i nuovi autovelox, molto meglio l’indisciplina degli automobilisti: è più economica ed efficiente, oltre che meno pericolosa.

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Alessandro Barra

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