Milano 30 Gennaio – L’inchiesta-denuncia è di Giangiacomo Schiavi sul Corriere. Attualissima, visti gli ultimi fatti di cronaca e incisiva nell’evidenziare un malcostume criminale che dura da anni. La proponiamo integralmente “Non è normale che da più di quarant’anni la parola Ortomercato a Milano sia associata a mafia, criminalità, ‘ndrangheta, droga, cosche, evasione, caporalato. Non è normale l’assuefazione con la quale si registra il periodico vuoto di legalità in cui sguazzano i clan, la mancanza di un segnale forte della politica dopo gli allarmi, le denunce, gli arresti, le retate come l’ultima che ha riportato in carcere Antonio Piromalli, braccio imprenditoriale della cosca di Gioia Tauro radicata al Nord, capace di sfoggiare il suo potere in via Lombroso con una passeggiata tra i banchi di frutta e verdura per dimostrare chi comanda davvero, il boss che va subito al sodo, «mentre vi sedete vi ammazza», racconta sul Corriere Cesare Giuzzi, o lo Stato che nasconde la polvere sotto il tappeto. Non è normale, non è accettabile che ci siano due Milano, di cui una continuamente infetta nonostante gli allarmi, le denunce, l’azione di magistrati, vigili, polizia e carabinieri, perché se si vuole diventare capitale del food e della filiera agroalimentare del Paese, cosa possibile e all’altezza delle attuali ambizioni, bisogna rompere l’anomala associazione tra Ortomercato e illegalità. È giusto chiedere più controlli, creare barriere di disturbo contro i clan e il racket, ma per interrompere la linea della palma, quella che Sciascia indicava per spiegare le infiltrazioni mafiose che trovavano terreni fertili al Nord, basterebbe applicare quel che all’Ortomercato si poteva già fare ma non è stato fatto.
La tracciabilità delle merci, per esempio, attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia, come il codice a barre, che garantirebbe controlli e trasparenza abbassando anche i costi. Una sfida pratica, insieme a quella del pagamento senza contante, attraverso bancomat e carte di credito, capace di smontare il sistema opaco e corrotto controllato dalla ‘ndrangheta e dai caporali mafiosi. Era nel programma di Gigi Predeval, presidente di Sogemi, la società che controlla l’Ortomercato, manager nominato da Letizia Moratti nel 2010 per mettere ordine nella bolgia del malaffare di via Lombroso. È stato il punto fermo anche di Nicolò Dubini, altro manager di grande esperienza, chiamato da Giuliano Pisapia nel 2013 per rilanciare un Ortomercato in decadenza che un tempo primeggiava in Europa. Entrambi avevano un piano preciso per rompere la catena omertosa e il fronte illegale: adottare nuovi sistemi di pagamento e soprattutto rifare i Mercati generali. Predeval è stato dimissionato, Dubini costretto ad andarsene dopo essersi visto bocciare il piano del nuovo Ortomercato da 200 milioni: un’occasione persa per Milano. Trasparenza e legalità restano punti chiave nelle sfide del futuro, ma non si può fare davvero pulizia se non si cambiano sistemi e strutture. Per questo il sindaco Sala, il presidente della Regione Maroni e il nuovo prefetto Luciana Lamorgese (auguri e buon lavoro) non dovrebbero lasciare cadere la questione riaperta dal blitz dei giorni scorsi. Non è normale che la nuova Milano mantenga certi scheletri dentro l’armadio: sporcano un’immagine ricostruita con fatica in questi anni. Come il caso Fiera, sul quale si è fermato ieri il procuratore generale all’inaugurazione dell’anno giudiziario: quei colletti bianchi infiltrati dal boss Messina Denaro per agevolare gli appalti di Cosa Nostra «sono un fatto assai grave». La linea d’ombra della palma evocata da Sciascia non deve dividere Milano in due.”
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