Roma Post – Famolo

Attualità

Milano 14 Febbraio – Gli accademici non avevano fatto in tempo a deplorare l’avanzante analfabetismo di studenti e laureati, che la straripante ignoranza verbale si è ripresa subito il proscenio. Famolo è lo slogan di una massa che minaccia di sommergere la giunta pentastellata romana, con la stessa rabbia d’orda con la quale i grillini spopolarono alle elezioni comunali di giugno. Il Famolo è come il Calippo, molto più patatoso e bollente ed in più ha l’imprimatur dei media e dei poteri forti. E’ giunto, già esercitato e rodato per le proteste per il no scontato alle Olimpiadi, che è comunque servito a rodare. Al Famolo si è aggrappato il milieu dell’AS Roma, al secolo squadra di calcio giallorossa; il grido è stato lanciato dal giocatore Florenzi, ripreso dall’allenatore Spalletti, ma soprattutto benedetto dal capitano, dal Francesco romano, dall’ottavo re sui sette colli, da quel Totti, che nell’Urbe, mentre crollano tutte le autorità politiche, economiche e religiose, risulta essere l’unico augusto riconosciuto in alto ed in basso, dalle stelle e dalle stalle, dall’aristocrazia nera, dal generone e dal popolino della Suburra. Ruolo confermato a Sanremo dove con orgasmi multipli il mondo mediatico e giornalistico si è deliziato d’ascoltare per l’ennesima volta l’ingenua voce biondo romanesca raccontare barzellette ed ingiuriare gli avversari di quartiere, con toni da Meo Patacca mentre gridolini d’entusiasmo auspicavano una presenza fissa in Rai del Francesco capitolino. Ed attorno al Famolo tottiano si sono raccolti pezzi vari di Roma, dal Pd Miccoli al sindacato Cisl, dal Messaggero primo giornale capitolino a Verdone; addirittura improbabili personaggi vanziniani come Renzi e Lotti. Ed ovviamente quel mezzo milione di persone che vivono nel e per il calcio, con una fede speciale nella Magica, al secolo la Roma calcistica, che peraltro arruola la grande maggioranza dei giornalisti Rai. Certo, c’è un 1,5 milioni di persone indifferente al calcio ed alle sue vicende e che non ha voglia di pagare in futuro il costo di un secondo nuovo stadio per una squadra che non vince nulla da tempo immemorabile, e che difficilmente razionalmente è destinata vincere qualcosa in Italia ed in Europa. Gli altri, però, sono agguerriti e compatti, decisi a prevaricare tutti, certi peraltro dell’impunità. Il Famolo tottiano per il futuro Stadio della Roma a Tor di Valle è dunque non un invito, ma un ringhio neanche velato, che i più della giunta capitolina Raggi hanno capito benissimo. Il Famolo ovviamente copre le imprese dell’edilizia e dell’intrattenimento che, in assenza dei passati generosi contributi statali sono l’ultima chance economica di una città che nel degrado economico della sua tradizionale burocrazia pubblica e privata, è alla canna del gas. Basta vedere le società coinvolte nel progetto da 20 miliardi: Cushman & Wakefield, studio Forrec, Arup, Geores, LAND, Lend Lease, AS Roma, Studio Libeskind, CO.RE Ingegneria, Italia Green, Parsitalia, STE Group, IN.CO, ABDR, Systematica, GAE Engineering, Officinae Verdi, GAD, DLA Piper Italy e IDRAN. Il fronte edil-intrattenimentale, dai Caltagirone ai Fuksas, dagli Abete fino al diretto interessato Parnasi, sa che tutte le grandi costruzioni, da nuova Fiera di Roma, alle torri Euro2, al Eur Roma, al luna park ed ai progettati alberghi di Cinecittà, pensate per grandi eventi, grande masse di consumatori e turisti, sono state un flop; sa che nell’asfittica situazione della Capitale e dell’area centromeridionale del paese di cui Roma è l’avamposto, in futuro sarà ancora più difficile tenere eventi e show di peso. Sa che l’ennesimo allungamento ed allargamento per 600 ettari di una città già distesa su un territorio inverosimile porrà ennesimi problemi di mobilità, trasporti e servizi. Il business però non è l’obiettivo del progetto quanto lo sono gli immediati 5 anni di lavoro, i 2000 posti per la manovalanza ed i 650 più ricchi per la consulenza, la progettazione e chissà cosa; i 500 milioni di salari, i 4 milioni di ton di materiali da trasformare in un Colosseo di acciaio e vetro. Il business è il sicuro allungamento, il cantiere infinito in cui si finirà per l’immancabile parco pubblico di 7 ettari, per i 3 nuovi ponti sul Tevere, per i tre nuovi laghi, per gli 89 ettari di verde, per i 150mila nuovi alberi, per il recupero di un’area dismessa di 32 ettari e soprattutto per l’allungamento della metro. E se il lavoro durerà 10 anni, meglio; se durerà 20, per gli immancabili interventi, sequestri, ricorsi e controricorsi e processi giudiziari, meglio ancora. Vuol dire che aumenteranno un poco i salari e triplicheranno le consulenze. Sporchi, maledetti e subito; è la logica in cui è sempre vissuta l’angosciata economia romana che ormai produce poco se non nulla; è la ratio del Famolo dei romani di quartiere che conoscono e vivono solo un pezzo di città senza conoscere una strada fuori di esso. E’ la filosofia della scocciatura della razionalità che impone il daje dell’urgenza, senza poi essere in grado neanche di intervenire con fretta. Problemi e mentalità antiche che l’enorme debito accumulato negli anni del modello Roma e l’odio nutrito per la Capitale dagli ultimi premier hanno esacerbato al massimo. Ed ora, senza fasciarsi la testa per come si sia giunti a tanto, quelli del Famolo, mentre vanno a prendere la fidanzata nelle borgate, tornate cupe come 30 anni fa, rifuggono da rincrescimenti e rimorsi; anzi sono quasi contenti che non ci sia un’alternativa a quest’economia malata che caccia redazioni Tv e call center. Alla fine i seriosi difensori del territorio dovranno arrendersi perché è meglio mangiare cibo avariato piuttosto che non cibarsi affatto. Nei 40 anni in cui gli Asor Rosa dell’urbanistica hanno comandato, non sono riusciti né a impedire l’abusivismo dei poveracci né le speculazioni accelerate da tanti miliardi di impegno pubblico, né l’espandersi illogico della città in quartieri mostruosi. Inutile che si lamentino dell’effettivo disastro dell’urbanistica della Capitale, che porta con sé al degrado di trasporti, l’ambiente, la socialità, il rapporto vita-lavoro. E’ tutta opera loro; come potranno negare un pezzo di pane, pur se ammuffito? Ride il Famolo degli accademici e dei seriosi con il disprezzo dell’ignorante che fa carriera mentre il quadri laureato arranca, con il disprezzo e la meraviglia per chi parla italiano corretto cui va puntuale la domanda: Ma te, che sei de Roma?

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