Milano 21 Febbraio – Ai più non è chiaro perché il Pd, principale partito del paese, vada verso la scissione. All’osservatore qualunque, il Pd appare partito dalla larghissima maggioranza parlamentare, il partito di governo per antonomasia. Si snocciolano tutte le cariche principali dello Stato, dalla presidenza della repubblica al premier alle presidenze delle camere, ricoperte da membri Pd o affini. E’ un partito così centrale nella vita politica da potersi permettere di defenestrare ben due premier, scelti nei propri ranghi, per sostituirli con altri tre seguaci; e di farlo utilizzando con facilità, pezzi di partiti eletti nello schieramento contrario. Pur esistendo molti partiti e più numerosi gruppi parlamentari, la politica che conta la fa solo il Pd.
In una situazione così, il partito in oggetto dovrebbe essere pieno di forza e di orgoglio. Tanto più che non ha nemici. Non i media, che lo trattano con la bambagia. Non la magistratura che non è nei suoi confronti devastante. Non le forze internazionali che lo sostengono. Non l’economia che non ne è irritata. Gli aderenti, iscritti e simpatizzanti Pd, scioccati dall’idea peregrina della divisione sono un popolo inerziale, che non vede mai ragione di cambiare, che non voleva nemmeno ai suoi tempi buttare via il nome storico Pci. E che riluttante accettò i cambiamenti da Pds a Ds a Pd solo perché sa ubbidire ai trend calati dall’alto, come avvenuto nel passaggio dai vecchi capi postcomunisti ai nuovi postdemocristiani.
Dunque perché il Pd va alla scissione? I contendenti, una maggioranza di postdc condita di molti postpci ed una minoranza di postpci condita di vari postdc, dibattono sulla necessità di andare a congresso. La speranza della prima e la paura della seconda sta nella convinzione che un prossimo congresso rafforzi l’attuale leadership postDc, che farebbe cadere il proprio governo nella temeraria speranza di vincere le elezioni e tornare al governo più forte che mai.
La scissione non è dovuta quindi all’eventualità del congresso ma a quella delle elezioni anticipate? Sarebbe uno scontro paradossale. La minoranza, capitanata da un magistrato mai dimessosi, dichiara di voler riportare il Pd alla sua vocazione di difensore delle masse più povere. E chiede, in nome di questo nobile obiettivo, di mantenere al suo posto un governo, mix di sinistra e destra che finora si è caratterizzato per bastonare tutte le suddette masse. Il gruppo di giovani postcattolici al comando sconfessa la sua tradizione culturale dimostrandosi tanto temerario da mettere a rischio il potere di cui oggi il Pd dispone pur di riaffermare il proprio potere esclusivo. Per cui, la scissione non è per il congresso, e non è nemmeno per le elezioni anticipate.
La scissione, o meglio la sua minaccia, è tra la volontà di comando del nuovo Fanfani Renzi e la richiesta di una gestione collegiale. Qui il paradosso ultimo sta nella volontà di collegialità dei postpci, usi a vertici monarchici e l’opzione del capo unico, voluta dai postdc, abituati al comando rarefatto.
Paradossi e stranezze trovano altre spiegazioni fuori dal Pd che resta onnipotente soltanto finché resta nel solco dei poteri forti. Nessuno di questi poteri vuole la fine della legislatura destinata a portare in Italia gli effetti antiglobalizzazione simboleggiati da Trump in America. Non sfugge a nessuno che l’attuale forza Pd poggi su una legge elettorale ed un’elezione, considerati dalla giurisprudenza contrari alla Costituzione, e che non sono farina del sacco culturale Pd. Legge ed elezione sono figli infatti di provvedimenti ispirati dal principio maggioritario imposti in questi decenni dalla destra. Di fronte al rischio di una massa elettorale antiglobalizzazione, i poteri forti preferiscono che il maggioritario faccia ancora il suo lavoro se aiuta il Pd e se il Pd resta il partito dell’establishment. Contrariamente a quanto visto per tre anni, il Fanfani Renzi, con il suo desiderio di rivincita elettorale, mette a rischio il quadro attuale, impopolare, ma stabile. La nuova rottamazione renziana stavolta non è in linea ma contro i poteri forti che possono contare anche sulla volontà di resistere di centinaia di anonimi deputati destinati a non venire rieletti. Proprio la minoranza dei piagnoni per poveri e oppressi invece lavora contro di loro tenendo in scacco un Pd riottoso al suo ruolo di partito centrale e centrista.
Perché allora il Pd va verso la scissione? Si tratta dell’ipnosi eterodiretta per e dentro il Pd che ne deve irretire ogni decisione traumatica. Della scissione se ne parlerà ancora a lungo, fino al congresso ed anche dopo. E chiunque avrà lavorato per rimandare le elezioni ne verrà alla fine premiato.
Ed il Pd resterà la solita pistola puntata, consciamente o meno, puntata verso la testa degli italiani.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.