Milano 22 Febbraio – Cosa è accaduto subito dopo le Cinque giornate di Milano? È scritto nei libri di storia: se l’insurrezione conclusa il 22 marzo 1848 ha vinto, l’esercito piemontese ha perso e sono tornati gli austriaci. Meno noto é invece il provvedimento che il feldmaresciallo Josef Radetzky ha firmato nell’autunno dello stesso anno: la città è stata messa a ferro e fuoco? A pagare i danni siano nobili, ricchi, commercianti e banchieri milanesi, molti dei quali hanno partecipato e capeggiato la rivolta. Un conto parecchio salato: venti milioni di «contribuzione straordinaria» a carico delle famiglie blasonate e possidenti, più un milione e mezzo di prestito forzoso sulle spalle dei commercianti iscritti nel ruolo delle tasse d’arte e commercio dell’anno camerale 1848. Si tratta di cifre notevoli anche se è difficile applicare un vero «cambio» che attualizzi le somme: Germano Maifreda, professore ordinario di Storia economica all’Università di Milano, riprende Carlo Cattaneo e trae una possibile corrispondenza fra euro e lire austriache del tempo assumendo che con un milione di allora si pagava il salario giornaliero medio a 333.333 braccianti. Anche così non è semplice determinare una cifra ma almeno ci si avvicina a un’idea di grandezza.
I provvedimenti hanno fatto il proprio corso anche se con difficoltà. Nell’archivio della Camera di Commercio di Milano è rintracciabile una nota del 20 febbraio 1849 firmata dal tenente colonnello Wohlgemuth, presidente della Imp. Regia Commissione per la contribuzione di guerra, dove si legge: «Si compiacerà questa rispettabile Camera di Commercio di trasmettere una circolare a tutti i banchieri di Milano e in Lombardia per conoscere se esistono presso di loro capitali fruttiferi dal 18 marzo 1848» (data di inizio delle Cinque giornate) «al giorno d’oggi di ragione delle Case assoggettate alla contribuzione straordinaria di guerra notiziando in proposito (non appena ricevuti i riscontri) questo I.R. Ufficio residente in Casa Arese». Allegata è la «lista n. 1»: si tratta dei nomi inclusi nel proclama di Radetzky dell’11 novembre 1848 ai quali «far pagare i danni». Si trovano così fra gli altri i Conti Francesco Annoni, Francesco Arese e figlio, Vitaliano Borromeo Arese, Gabrio Casati, Ercole e Giuseppe Durini, Mario Greppi, Giulio Litta, il Duca Antonio Litta, il Duca Alberto Visconti Modrone, il Marchese Giorgio Teodoro Arese, il Cavaliere Giacomo Poldi Pezzoli. E ci sono anche due donne: la Contessa Maria Borromeo e Giulia Cristina Triulzio Principessa Belgioioso. La risposta della burocrazia è immediata, almeno a giudicare da una minuta dello stesso giorno: «Al ricevere la nota di oggi la Camera di Commercio si è tosto accinta ad avviare l’evasione dell’incarico ricevuto…». Ed è subito confezionata la bozza della lettera intestata a «Onorevole Ditta bancaria». Il 6 marzo è pronta infine la nota con cui la Camera di Commercio trasmette alla Commissione il prospetto con i nomi dei banchieri di Milano iscritti nei registri mercantili, e le lettere originali inviate dai banchieri per riscontro.
Gli impiegati volontari
Del resto era stata altrettanto rapida la convocazione, il 25 marzo 1948, «per urgenza ad uso seduta domenica 26 marzo alle ore dodici e mezzo precisi per procedere a mezzo di schede all’elezione di un comitato esecutivo straordinario per provvedimenti d’urgenza e le comunicazioni al Governo», cioè al Governo Provvisorio costituito da molti di coloro che poi si ritroveranno nella lista di Radetzky. Un’anima «insurrezione e disciplina», probabilmente specchio della partecipazione aristocratica e popolare ai moti, che porta quasi a sorridere quando si legge per esempio una circolare diffusa dallo stesso Governo Provvisorio il 30 aprile 1948 e custodita negli archivi della Camera di Commercio: «Poiché alcuni impiegati domandarono di entrare nei corpi di volontari e nelle truppe regolari che si vanno organizzando senza patir danno nella loro posizione ufficiale, il Governo Provvisorio dichiara che si renderanno benemeriti della Patria quegli impiegati che, senza grave pregiudizio dell’ufficio cui sono addetti, vorranno mettersi nelle fila dei combattenti… ogni impiegato non potrà però abbandonare il suo posto senza un permesso del suo capo ufficio il quale in ciò avrà riguardo alle più strette esigenze del servizio». Ha avuto esito la tassazione inflitta da Radetzky ai possidenti? Secondo Maifreda «pare si possa desumere da fonti indirette che la contribuzione forzata fu riscossa in tutto o in larga parte, anche perché poi ne fu effettuata un’altra nel 1850». I soldi sono stati destinati a riparare i danni nel senso che «dato che l’introito non compariva nella contabilità ufficiale del Lombardo Veneto, pare realistico sostenere che il denaro fosse speso subito per le necessità locali dell’armata e il pagamento dei soldati».
I riflessi sui mercati
Anche il prestito forzoso, distribuito presso le 400 ditte milanesi più rilevanti in proporzione al giro d’affari, è stato riscosso per almeno un milione e per metà restituito nel 1850. L’elenco è depositato presso l’Archivio di Stato. Vi si trovano ditte di commercio, assicurazioni tra cui Ras, la Compagnia di assicurazione dagli incendi e la «Società austriaca», triestina, aziende varie come la Strada ferrata Milano-Como o la Società per la navigazione a vapore, le Gavazzi Giovan Battista e Pietro e fratelli. Secondo Maifreda «scorrendo l’elenco si capisce come i grandi danneggiati furono, oltre e forse ancor più dei nobili, i banchieri, i negozianti e gli industriali, il nerbo della nuova Milano degli affari. Molti gli “immigrati”, famiglie ebraiche (Leonino, Norsa, Levi, Finzi) e di religione protestante (Vogel, Vonwiller, Kramer, Mylius), arrivati a Milano durante l’età napoleonica o prima della Restaurazione, attirati dalla dinamicità della scena economica e relativa tolleranza religiosa dei territori austriaci. Economia e mercati restano colpiti e turbati dalle misure eccezionali e dai prestiti forzosi che ingenerano incertezza e invitano a spostare i capitali laddove sono più sicuri». E probabilmente questo è stato per la città un danno di gran lunga superiore ai ventun milioni e mezzo di «extra tasse» imposte dal feldmaresciallo. (Corriere Milano)
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