Milano 2 Marzo – Spiare il proprio partner su Facebook, controllando senza permesso il suo profilo per scovare ‘amicizie’ e messaggi privati, equivale a un’intrusione illegale e può integrare un vero e proprio reato. A stabilirlo è l’articolo 615-ter del codice penale, secondo il quale tale comportamento integra un accesso abusivo a un sistema informatico o telematico.
La Polizia Postale, scrive ‘Studio Cataldi‘, ha rilevato in merito un aumento considerevole di querele sporte da mogli e mariti che si ritrovano spiati su Facebook dal partner (o dall’ex dal quale si sono separati). Il codice penale, del resto, parla chiaro: “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo”rischia la reclusione fino a tre anni.
Il reato è stato introdotto nel 1993 al fine di tutelare la privacy, in seguito alle incursioni sempre più frequenti nei sistemi informatici, e rendere effettivo il cosiddetto ‘jus excludendi alios’, ossia escludere o impedire l’accesso altrui, nel proprio domicilio informatico. Si tratta dello spazio virtuale nel quale il soggetto si muove intrattenendo relazione personali e svolgendo attività. Tale spazio, seppur diverso dal ‘domicilio’ in senso fisico, è stato ritenuto meritevole di tutela quale “espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato”.
Spiare il partner è un comportamento spesso sanzionato poiché mette in atto diverse ipotesi di reato, indipendentemente dal fatto che il ‘colpevole’ giustifichi la volontà di voler accertare i comportamenti adulterini del coniuge. I doveri di solidarietà imposti dal matrimonio non sono infatti incompatibili con il diritto di riservatezza. (Adnkronos)
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