Milano 7 Marzo – Non era ancora stato scordato il Costantino cristianizzatore, che un giovane imperatore romano diede un brusco stop al trend religioso sociale del politically correct del suo tempo. In un breve ma intensissimo regno, dal 360 d.c. Giuliano l’Apostata, si guadagnò eterna fama nella storia ed imperituro odio dei cristiani per il ripristino dei tradizionali riti pagani del dio Mitra e del Sole. Isolato letterato, dimostrò inattese capacità militari con le quali annientò le temute rivolte galliche. Dopo una giovinezza angosciata dal timore di venire assassinato, si rivelò, una volta al potere, mite e tollerante ripristinando le antiche libertà religiose erga omnes, inclusi uomini e siti dell’ebraismo e delle tante eresie cristiane. L’intellighenzia del suo tempo, che ormai considerava il cristianesimo ortodosso dogma statale, presa completamente in contropiede, non si aspettava consenso nel popolo e nell’esercito verso un imperatore che cancellava l’opera di due predecessori. I burocrati erano impotenti di fronte alla sua vasta decentralizzazione. Giuliano fu l’apostata, non per quanto proponesse ma uomo del diniego verso ciò che avrebbe dovuto essere. I sacerdoti del suo tempo morsero il freno nell’odio per l’intellettuale decristianizzatore che si limitava a non imporre alcun credo. Entrambi ne maledirono l’effige sperando nel nemico orientale tradizionale dei romani, i Parti. Contro di loro Giuliano morì, durante l’ennesimo conflitto in Iraq, in quel Medioriente, sotto la mira attuale del presidente Usa Donald Trump, il cui blocco immigratorio è stato impedito per ora dall’establishment giudiziario. Giuliano non venne più scordato al contrario di tanti altri imperatori ma venne esecrato anche nella tomba, rimasta in oriente, per secoli fino alla lontana riabilitazione postuma. Solo il tempo potrà dire se Trump sia l’apostata del nostro tempo, l’uomo venuto a bloccare il potere totale ed univoco del sacerdozio intellettuale che da più di vent’anni ha definito anche nei piccoli particolari il modo ammesso di pensare, di parlare, di mangiare, di giudicare e di vivere. Solo il tempo potrà dire se l’apostasia di Donald sia solo una breve raffica di vento destinata a sparire con il suo successore come fu per Giuliano. Per ora Trump si è già guadagnato l’odio totale, quadrato, massiccio, senza se e senza ma del sacerdozio dei nostri tempi, nei partiti, nei media, nei tribunali, nelle istituzioni, nelle organizzazioni internazionali, Giuliano era solo, così Donald. L’antico ed il nuovo apostata, così, si somigliano. Innanzitutto per la battaglia, chiara ed evidente, tra potere politico e potere culturale. Giuliano conosceva bene i rituali intellettuali antichi e nuovi del suo tempo, pur senza appartenervi, così come Donald conosce dall’interno, pur non essendone un professional integrato, il mix di social, giudiziario e mediatico che è il campo intellettuale attuale. Cresciuto comunque sotto l’imperium cristiano, Giuliano non ne sottovalutava il messaggio. E lo svuotava sottolineando i precedenti, copiati in Palestina, del Prometeo morto risuscitato e della partoriente vergine dei misteri eleusini. Anche Donald, yuppista sopra le righe, è figlio della convergenza tra potere e contestazione post Nixon, che ha prodotto l’ambient dominante post new age, humus del politically correct. Non ha però remore ad ammetterlo, rivelando l’intrinseco imbroglio. La stessa truffa che vuol far passare il reaggeton per musica, il graffiti per pittura, il twerk per danza. Donald non è un Bush che, pur sbeffeggiato dai liberal, ammanta il bellicismo di positivismo parafemminista e di export di democrazia. Trump riconosce che la dominazione Usa non è né più buona né più cattiva di quella russa o di altre power ed è devastante perché cancella il senso di missione fin sul tetto dello stesso afflato ideale dell’alleanza vittoriosa dell’ultimo conflitto mondiale. Anche Giuliano non divideva gli dei in buoni e cattivi eppure su di loro e sull’ispirazione divina amorale fondava la volontà di potenza romana. L’avrebbe sminuita riducendola a divulgatrice della religione cristiana. Anche Donald si identifica con la volontà di potenza americana, non più primus inter pares ma riconfigurata per un mondo di tante potenze, tra cui le multinazionali senza patria. La lotta in Giuliano in sé dà senso alla lotta contro i nemici. Donald non crede al primato finanziario, nemico della parità tra i popoli, non perché sia fautore di detta uguaglianza ma perché difende il capitalismo produttore legato ad un territorio. Non sono etica o la croce a giustificare il dominio ma solo caso e merito; forse per caso, forse per merito vincono sempre gli stessi. Non si comprende perché spaccarsi la testa a voler assegnare caso e merito anche agli altri. L’antichissima e la nuovissima apostasia regalano poi la stessa sorpresa, l’incredibile entusiasmo con cui le maggioranze silenziose salutarono e salutano il ritorno all’esecrando passato della tradizione. Giuliano l’apostata ci ricorda i quattro o cinque secoli in cui a fil di spada le popolazioni europee vennero convertite. Trump sottolinea i quattro o cinque decenni di repressione e imposizione intellettuale e militare che hanno obbligato i popoli a vedere gli asini volare. Non sorprende che come d’incanto ieri tornarono in auge gli dei antropomorfi ed antropocaratteriali, così oggi impallidiscono le religioni dell’ambiente, del primato femminile, della difesa delle minoranze, della globalizzazione. L’apostasia di Giuliano durò poco ed il ritorno al cristianesimo concluse la parabola decadente e la fine di un impero fondato sulla religione della forza. Forse anche Donald è solo una parentesi, un tratto di penna bianco, revanscista, nazionalista, tradizionale destinato a durare poco. E’ comunque un apostata. Uomo del diniego verso ciò che avrebbe dovuto essere. Perché la nostra civiltà nell’intimo non è, né mai sarà, come dovrebbe essere, se non da morta.
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Giuseppe Mele
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.