Imbagasciate

Cultura e spettacolo

Milano 17 marzo – Tra qualche giorno il Censis, questo ente privato che si è preso funzioni pubbliche, festeggerà, come ogni anno, Gino Martinoli, che dell’ente è stato uno dei fondatori. La memoria recita che fosse, se non intellettuale, un grande stimolatore, in linea con la sua professione di dirigente aziendale. A preservare il ricordo non guastano i miti della sorella Natalia Ginzburg e dell’Olivetti dove il compianto operava. Si dice che Martinoli fosse misurato e di esposizione elegante; così, in nome di un qualche contrappasso, il tema scelto dal Censis per (non) ricordarlo è tutto il contrario, l’involgarimento del linguaggio parlato. O meglio per andarci su pesanti, L’imbagascimento del lessico collettivo.

Ovviamente vengono subito in mente tanti toni di voce, ascoltati in Parlamento ed in Tv, striduli, nasali, falsetto da mercato che fanno intuire,anche nella lettura paludata, il gergo dialettale o cadenzale che scalpita da sotto per dominare. Toni che trovano di solito perfetta cornice anche nell’involgarita espressione del volto, brufoloso, nasuto, dalla pelle spessa e lucida che sembra puzzare anche attraverso lo schermo.

Questa però è solo la cornice del tema che punta il dito sui contenuti, gli aforismi, le forme idiomatiche penetrate in ogni dove e che in fondo si riducono all’uso ininterrotto di 5 o 6 parole di cui la metà identificanti organi sessuali. Scomparsa l’enfasi pasoliniana sulla cultura popolare, il cordoglio non si ferma però di fronte ad un lessico inacculturato, ad un vocabolario povero, all’insieme di poche e ignorate nozioni; va oltre fino all’imbagascimento lessicale, quel senso otturato di soddisfazione di rotolare la parola, nel tono e nel contenuto, nel trivio; di orgoglio nel portare mondo e mundo nella monnezza di cui bearsi.

Il pensiero va all’ultimo 8 marzo dello sciopero globale femminile che nelle intenzioni doveva essere l’astensione da ogni attività produttiva e riproduttiva. Come noto il Lotto Marzo, ha preso una deriva folkloristica, assimilabile agli show delle proteste Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Alle tradizionali natiche nude dei primi, le protestatarie alla stazione di Milano, alla Regione Lombardia, all’Altare della Patria romano hanno corrisposto una parata di genitali femminili, fighe e vulve, applicando alla lettera l’hashtag #sulegonne, mascherando dietro l’esotico ana sumorai, il prosaico alzar di vestitoni e gonne per mostrare chi le mutande, più coprenti che perizomi, chi le pudenda che, un po’ per l’età un po’ per lo stile off, sembra non fossero neanche rasate come vuole la moda (inbagasciata). Gran climax è stato toccato nei tutorial Youtube preparati per l’occasione che insegnano il corretto modo di mostrarla, secondo antichi (e non meglio precisati) rituali di una Dea arcaica capace con l’esibizione genitale di fermare ogni belligerante maschile. Sarebbe però doloso prendersela solo con l’imbagascimento impegnato, quando quello più diffuso e più frivolo non è da meno. In un Cosmopolitan di qualche mese fa, a stretta direzione femminile, si può trovare per la gioia delle sedicenni lettrici il prezioso decalogo del prendi il massimo agli orali che per migliorare l’arte della fellatio consiglia anche prodotti succedanei della saliva. Né manca nei libretti coi trucchi-giocattolo per bambine l’ombrettone nero che non lascia adito a dubbi. Interiorizzato a tutti e tutte lo spirito dei più rozzi sketch da caserma della commedia sexi all’italiana, pochi anni fa impazzavano le prodezze della clitoride, concorrente in spinta e forza, per pari opportunità, anche grazie ad un grande impegno universitario, all’ex monopolista fallo maschile. Poi l’arte con la sua pioggia di vulve ha invertito la rotta tra modelle che immortalano la propria origine del mondo dal vivo davanti all’omonimo quadro al d’Orsay parigino, fino alle fighe pittrici delle vagin painting ed a quelle schizzanti Plog Egg, uova colorate d’acrilico. L’imbagascimento può essere nei contenuti, parodia alla Coena Luciani, oppure nelle espressioni, come i ritornelli che alludono ad imprese sessuali di ministri; oppure essere entrambe le cose. 

Fa male oggi il Censis a lamentare questo stato di cose. Per molto, troppo tempo nei suoi rapporti ha offerto espressioni pindariche e voli retorici che attaccavano per ragioni politiche istituzioni e politica. Le espressioni non erano volgari ma tanto ficcanti da preparare l’imprecazione di massa. Neppure la direzione del Sole 24 ore, oggi costretta alle dimissioni, e messa sotto indagine come anche altre pregresse, si è mai lasciata andare all’insulto triviale. Eppure il rotear d’occhi e l’agitare dei guanciotti, passati a più riprese in Tv nei giorni dello spread cresciuto senza freni, nel fate presto fate presto per le dimissioni dell’ultimo governo eletto, non erano vere e proprie imbagasciate?

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