Terrorismo, lo Stato islamico cambia strategia. Cosa deve fare l’Italia

Attualità

Milano 25 Marzo – Negli attacchi contro l’Occidente, la strategia dello Stato islamico è cambiata: gli attentatori non si imbottiscono più di esplosivo per farsi poi saltare in aria, ma, per la maggior parte, si lanciano all’attacco di luoghi simbolici e affollati armati di pistole, armi bianche e spesso alla guida di veicoli. «È una strategia che l’Isis ha adottato da circa un anno ed è stata ampiamente rilanciata su tutti i mezzi di comunicazione del gruppo: lo Stato islamico incita i suoi affiliati a non andare a combattere in Medio Oriente, ma ad attaccare il nemico dall’interno, rimanendo sul posto. E a farlo infliggendo loro tutto il male possibile con le armi della quotidianità», spiega a tempi.it Marco Lombardi, professore all’Università Cattolica e responsabile di Itstime, centro di ricerca su sicurezza e terrorismo.

Utilizzando i suoi canali comunicativi (social network, siti e riviste di propaganda), l’Isis prima spingeva i suoi affiliati a mietere vittime tra gli infedeli «avvelenando la loro acqua», poi ha cominciato a diffondere dei “manuali di istruzioni”, spiegando nel dettaglio come utilizzare oggetti di tutti i giorni per compiere delle stragi: come uccidere usando coltelli, come affittare auto o camion per travolgere le folle, dove, quando e come colpire. Ultimamente, ci dice Lombardi, ha aggiunto anche le istruzioni per generare incendi (suggerendo, per esempio, di appiccare il fuoco al piano terra degli edifici, e non agli ultimi piani, per tagliare così ogni possibile via di fuga). «È una campagna perseguita in maniera sistematica. Un vero e proprio percorso di training e formazione sul terrorismo».

CREARE TERRORE. L’Isis fa leva sulla reperibilità di queste armi e sulla facilità di trasformare in terrorista un anonimo civile. «In più, sfrutta indifferentemente le motivazioni che posso spingere un musulmano a commettere attentati, che sia fanatismo, ideologia, pazzia o odio. L’importante è solo il risultato finale, cioè creare terrore. La pericolosità dello Stato islamico è questa: la capacità di intercettare motivazioni personali diverse, alle quali fornisce un’identità, una bandiera, quando queste si esplicitano in attacco terroristico». La conseguenza, mette in guardia Lombardi, è che per noi diventa molto più difficile riuscire a prevedere queste forme di attacco.

PREPARAZIONE INGLESE. Nell’attentato di Londra le forze dell’ordine e la popolazione hanno saputo reagire in maniera efficace e disciplinata, senza eccessivi allarmismi. «La risposta rapida degli inglesi testimonia la loro capacità di affrontare situazioni di emergenza di questo tipo. Londra è preparata da anni, fin da quando elaborò una strategia di risposta al terrorismo dell’Ira (un esempio di vita quotidiana, negli anni Settanta tutti i bidoni della spazzatura erano sigillati per paura che ci nascondessero dentro le bombe). C’è quindi una preparazione sia delle istituzioni sia dei civili diversa da quella di altri paesi». Lombardi riconosce l’efficacia dell’intelligence inglese ricordando che in una conferenza del 2016 il direttore dell’MI5 (il sistema di servizi inglese britannico) aveva annunciato che nel corso degli ultimi tre anni erano stati sventati ben 12 piani di attentati terroristici di grave portata.

ERRORI. Tuttavia, in quest’ultimo caso sono stati commessi degli errori: «Per tutta la serata successiva all’attentato, le autorità e gli investigatori hanno lasciato circolare voci contrastanti sull’identità dell’attentatore. Si ipotizzava fosse Trevor Brooks, ma la notizia che l’uomo è attualmente in carcere è stata data con enorme ritardo». Ma c’è un altro elemento importante: il fatto che l’attentatore fosse già noto all’MI5. «Si tratta quindi di un enorme problema di comunicazione pubblica oppure di un grande imbarazzo per il mancato intervento preventivo nei confronti di un uomo considerato pericoloso».

L’ITALIA. L’Italia è preparata ad affrontare la minaccia terroristica? Senza dubbio, sostiene Lombardi, il livello d’allerta è massimo perché l’attentato di Londra si colloca in vicinanza con eventi molto importanti del prossimo weekend: l’arrivo alla Scala di Milano del presidente Mattarella per ricordare Toscanini, la visita del Papa al capoluogo lombardo e la celebrazione a Roma dei 60 anni dei Trattati europei. La nostra intelligence, sostiene Lombardi, è estremamente efficiente, essendosi fatta le ossa non solo durante gli Anni di Piombo, ma anche nella lotta contro la criminalità organizzata. Inoltre il nostro vantaggio, sostiene Lombardi, è che in Italia ancora mancano gli immigrati di terza generazione. Sono infatti principalmente loro gli autori degli ultimi attentati terroristici, come accaduto per esempio in Francia, perché sono i giovani che hanno perso il legame con la loro terra d’origine ma non si sono ancora del tutto integrati nella nazione che li ha accolti.

NULLA È SICURO. Quello che però su cui dobbiamo lavorare, fa notare Lombardi, è la promozione della consapevolezza delle persone. Servono informazione e formazione per affrontare questo nuovo tipo di attacchi terroristici. «Dobbiamo accettare il fatto che certi eventi terroristici sono imprevedibili, ma proprio per il fatto che ormai ci sono molti rischi, dobbiamo farci trovare preparati». E questo, secondo Lombardi, comprende da una parte una preparazione specifica per i militari e dall’altra l’educazione dei cittadini alla difesa. «Bisogna per esempio tenere sempre alto il numero di controlli, anche se certo questo crea disagi. O prendere diverse forme di tutela preventiva, come la collocazione di barriere anti camion e la presenza strategica di forze dell’ordine sul territorio. Senza militarizzare le città, dobbiamo entrare nell’ottica che non siamo più totalmente al sicuro. È quindi fondamentale la piena collaborazione tra cittadini e istituzioni».

INTELLIGENCE EUROPEA. Per affrontare questa costante minaccia servono dunque delle best practice e una strategia che coinvolga l’intera Europa. Ma Lombardi è scettico sulla possibilità di creare un’intelligence europea: «Quello che possiamo fare nell’immediato è solo migliorare lo scambio di informazioni. I servizi d’intelligence rispondono a un governo politico. I servizi di sicurezza europei esisteranno solo quando ci sarà un governo politico comune, che per il momento evidentemente ancora manca».

Francesco Parodi (Tempi)

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