Iva, benzina e casa: la manovra che aumenta le tasse

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Milano 31 Marzo – La qualità dei rapporti tra Roma e Bruxelles sul dossier conti pubblici è ben misurata dall’intemerata di ieri di sei ambasciatori presso l’Unione europea.

Germania, Finlandia, Danimarca, Austria, Regno Unito e Svezia hanno infatti chiesto di mantenere un’aliquota di cofinanziamento nazionale, fissata al 10%, per gli 1,2 miliardi di fondi che saranno assegnati al nostro Paese per la ricostruzione post-terremoto. Su questo tema dovrà pronunciarsi il Parlamento europeo ed è facile sin da oggi immaginare il disappunto del presidente Antonio Tajani che si è impegnato per lo stanziamento. Per quanto l’iniziativa sia sgradevole, non vi si può non leggere una sorta di caveat nei confronti di Gentiloni, di Padoan e, soprattutto, di Matteo Renzi. Questi ultimi, infatti, hanno già annunciato che le ulteriori misure di finanziamento della ricostruzione troveranno spazio nella manovra correttiva da 3,4 miliardi che tra fine aprile e gli inizi di maggio il governo dovrebbe varare. Un maldestro tentativo di ridurre la portata in sé negativa del provvedimento.

La domanda che ci si pone da quasi tre mesi è sempre la solita: quanto pagheremo sotto forma di nuove tasse? Per rispondere, allora, non bisogna guardare a quello 0,2% di Pil da recuperare per mettersi in regola con l’Ue, ma al Def da varare entro il 10 aprile. Il governo conta di chiudere la «manovrina» con 800 milioni di tagli ai ministeri e un paio di miliardi di recupero di evasione Iva attraverso un’estensione dello split payment (da concordare con la Commissione Ue) con la pa che trattiene direttamente l’Iva dovuta dai suoi fornitori. In questo caso il discorso relativo a un incremento delle accise, che ad aprile sarebbe limitato ai soli tabacchi (ove occorressero 500 milioni per giungere all’obiettivo), potrebbe essere addirittura rinviato.

Nel Def – cui si accompagnerà il Programma nazionale di riforma (Pnr) – si apriranno scenari completamente diversi. Come noto, il punto di partenza sono i 25 miliardi di euro di base della legge di Bilancio 2018 dei quali 20 miliardi sono destinati al congelamento delle clausole di salvaguardia su Iva e accise. Come anticipato dal Giornale due settimane fa, al centro del Pnr ci sarà la riforma del catasto basata sui metri quadri al posto dei vani e, soprattutto sull’aggiornamento delle rendite sulla base del valore di mercato. Una mazzata che nelle grandi città potrebbe far triplicare Imu e Tasi e, nonostante due anni fa fosse prevista l’invarianza di gettito, l’ex premier la bloccò proprio per i negativi effetti che avrebbe potuto avere sul consenso popolare. Consenso che Renzi cerca di ingraziarsi ancor oggi. «Il Partito Democratico non farà mai aumentare l’Iva in questo Paese. Il presidente Gentiloni è il primo a essere convinto di questo», ha detto a Radio 24.

Se il candidato numero uno alla guida del Pd non vuol mettere la faccia prima delle elezioni su un aumento di Iva e accise da 19,5 miliardi, non ci sono molte alternative. Difficile, però, pensare che si possa contemporaneamente tener fede alla promessa di tagliare i contributi ai giovani neoassunti: ipotesi che nella sua versione minima costa 1,5 miliardi. Certo, c’è chi cerca di convincere Renzi a soluzioni di compromesso come un aumento parziale delle aliquote di Iva e accise per finanziare nuovi bonus e altre spesucce, ma finora senza molto successo. C’è anche un’altra ipotesi che dovrebbe rientrare nel Pnr, come ogni anno. Si scrive taglio delle agevolazioni fiscali, si legge aumento delle tasse.

Gian Maria De Francesco (Il Giornale)

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