Milano 2 Aprile – C’era una volta un sogno che si chiamava Europa. Un mercato unico, senza barriere, senza muri, senza dazi, con l’idea che il commercio avvicina le genti e le fa più ricche. Non più guerre. Non più sangue. Sfide, magari, sul mercato, con la scommessa che alla fine tutti saremmo stati meglio. Poi qualcosa è andato storto. Forse perché a un certo punto la preoccupazione maggiore è stata quella di fare regolamenti invece di piallare gli ostacoli. L’ossessione di incasellare ogni cosa, di dare un nome, una cifra, un protocollo. L’Europa si è allargata, ma ha perso peso specifico. Adesso ci tocca fare i conti con una realtà spiacevole. Il mercato europeo muta il proprio orizzonte. È un mercatino. In una prospettiva globale è diventato una di quelle fiere che si fregiano di un nome glorioso ma che con il passare degli anni si sono immiserite, svuotate, fino ad apparire per quello che sono, cioè un mercatino rionale, dove si passa per nostalgia. Se il mercato è un mercatino, i primi a sparire sono i lavoratori. Le esportazioni verso i Paesi extra Ue sostengono oltre 2 milioni e 700mila posti di lavoro in Italia. Altri 402mila italiani lavorano nell’indotto. Il mercatino vale una guerra persa. Questa è un’immagine pessimista, il rischio però è reale. Ora l’Europa può accartocciarsi su se stessa e rispondere alla Brexit e a Trump con la stessa moneta. Può continuare a sentirsi viva contando la misura dei fagioli. Oppure può rilanciare la scommessa iniziale, esplorare nuovi mercati e affrontare le trattative con il Regno Unito nel modo più amichevole e ridurre le proprie barriere in settori ancora troppo protetti come, ad esempio, quello agricolo. È chiaro che l’istinto, le lobby e le volontà di potenza di alcuni governi spingeranno dalla parte opposta. Ma poi resta la domanda centrale. L’Europa cos’è? È un Super Stato con mercatino rionale o un mercato dai grandi orizzonti, una visione del mondo e una democrazia? È da questa risposta che passa il futuro.
Ernesto Preatoni blog
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