Milano 10 Aprile – Volevo essere un cantastorie per raccontare la vita, per raccontare Milano…Volevo cantare il cuore che guarda e sogna. Volevo parlare di me e di te e dei fiori e delle stelle e di un lungo viaggio, sempre a chiedersi perché, sempre a cercare il dove. Volevo avere il tempo per ascoltare il silenzio del dolore in quell’incontro, in quella sera di primavera. E raccontare il perché di un viso devastato dalla fatica, dall’assenza d’amore, dalla malattia. Una storia come tante, paradigma di privazioni e di povertà. Una di quelle storie sommesse in una periferia qualunque, dimenticata. Con la balera sul prato nelle notti calde di un’estate che non poteva finire. E i giochi con le biglie dei bambini in cortile, dove, in una vasca, i pesci rossi ricordavano il colore della vita. E la luna scioglieva nell’aria una dolcezza infinita. Ed era la mia e la tua speranza. Ma il tempo poi orchestra le ore e i gesti con il capriccio dell’imprevisto e il vento passa per ricordare un campo di girasoli, là, davanti alla casa dell’infanzia e un pavone che si inebriava della sua bellezza.
Volevo cantare il senso della tristezza di un clochard vestito di solitudine e di abbandono, buttato lì dall’indifferenza, sotto un portico in piazza Diaz.
Volevo raccontare gli sguardi della rassegnazione nel labirinto ossessivo dei tram e dei metro. E la violenza gratuita dei disperati. E la fame, la condivisione, la solidarietà.
Volevo saper dare il mistero delle ombre nei vicoli nascosti di una Milano tutta da scoprire, con i fiori ai balconi e la musica che deborda dalle finestre. E la gente sa ancora guardarsi negli occhi ed esprimere amore.
Volevo dipingere in musica la Bellezza dell’anima di una città contraddittoria, ma ricca di umanità.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano