Milano 11 Aprile – Sono oltre 180 gli showroom che compaiono sul sito della Camera nazionale della moda italiana, tutti con sede a Milano. E sono solo i principali. Realtà che lavorano dietro le quinte della moda ma fanno di Milano uno snodo commerciale decisivo a livello globale. «Milano, in termini di fatturato, è il principale hub degli showroom di moda al mondo. Dobbiamo continuare a spingere sull’internazionalizzazione», spiega Massimo Bonini, titolare dell’omonimo showroom, con sei sedi di cui quattro a Milano, una a New York e una a Hong Kong.
Con 40 dipendenti e i ricavi della stagione A-I 17-18 in aumento del 14% – trainati dagli ordini degli e-tailer – Bonini è uno dei nomi più autorevoli: gestisce le collezioni di accessori e calzature di brand di fascia alta, un mix ben equilibrato tra affermati (Versace, Roberto Cavalli), in piena crescita (N°21, Fausto Puglisi) ed emergenti di talento (Giannico).
Brand per la maggior parte italiani, tutti dall’alto potenziale commerciale: «In un mercato in forte cambiamento – spiega – hanno successo i prodotti che “bucano lo schermo”, perché il primo contatto con il cliente avviene sempre più spesso sul web, e che poi dal vivo mostrano la loro qualità». Tra i primi clienti di Massimo Bonini Showroom ci sono «Europa e Usa, questi ultimi in crescita a doppia cifra stagione su stagione. Poi l’Asia. I paesi arabi stanno andando benissimo e la Russia è in ripresa». Lo showroom non ha un ruolo puramente commerciale: «Lavoriamo con i brand a tutto tondo, aiutandoli a scegliere anche il giusto produttore», continua Bonini.
Riccardo Grassi, titolare dell’omonimo showroom milanese e di due temporary a Parigi e New York, conferma la leadership commerciale di Milano nella moda mondiale. Lui stesso, sei anni fa, ha voluto creare uno spazio innovativo, 4 mila metri in via Piranesi, che ospita le collezioni di abbigliamento e accessori di Puglisi, Msgm, Paula Cademartori e molti altri. «Ho voluto aprire un punto di riferimento per i buyer internazionali a Milano, che all’epoca era in crisi, selezionando marchi “indispensabili” da vedere per chi voleva fare ricerca», dice Grassi.
La formula, più strategica rispetto a quella dello showroom tradizionale, ha funzionato: «Per le collezioni P-E 17 e A-I 17-18 abbiamo avuto 13mila ordini da 2mila compratori in 70 paesi», sottolinea. E la crescita più marcata, del 25-30%, arriva, come per Bonini, dai grandi e-tailer.
Per vendere bene sul web, secondo Grassi, «i prodotti devono avere un’estetica riconoscibile e iconica, nelle forme e nei colori». Altro tema fondamentale è quello dei prezzi: «Oggi conta moltissimo il rapporto qualità-prezzo: il consumatore non compra più solo per il brand». Il made in Italy, da questo punto di vista, è ancora un valore aggiunto: «Conta, sì. Ma non sulla parola, sul prodotto».
Marta Casadei (Il Sole 24 Ore)
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