Milano 13 Aprile – Un paese, il nostro, che per anni ha guidato le classifiche di propensione al risparmio oggi non molla la presa dell’accantonamento, nonostante la crisi abbia mandato a gambe all’aria certezze consolidate che – questo invece è abbastanza sicuro – non verranno sostituite.
Che cosa c’è oggi nel portafoglio delle famiglie tricolori? Sbirciando nel “borsellino” nazionale troviamo più polizze e fondi, sempre meno Btp e obbligazioni bancarie. Un cambiamento grande, spinto dalla “sparizione” progressiva dei rendimenti e, per quanto riguarda i bond degli istituti di credito, anche dalle drammatiche vicende (non ancora concluse) che hanno coinvolto i piccoli obbligazionisti degli istituti in crisi. Tra la fine del 2012 e il giugno 2016 le obbligazioni bancarie in mano alle famiglie italiane si sono ridotte di 212 miliardi
I Btp posseduti direttamente dalle famiglie rappresentano invece solo il 3 per cento dei risparmi, mentre più in generale le obbligazioni nei depositi titoli dei privati ammontano a poco più del 9 per cento. Anche il conto corrente e i conti di deposito, grandi protagonisti quando non si vuole o non si può scegliere di investire, negli ultimi tempi hanno dovuto cedere qualche posizione. Per loro, come per i Bot, l’anemia dei rendimenti è stata causa di raffreddamento passionale. E così oggi, sommando i prodotti assicurativi e e i fondi comuni, cioè il variegatissimo mondo dei prodotti a gestione professionale, si arriva al 34,5 per cento del totale, mentre le attività liquide si fermano al 32,3. Non una disfatta, insomma, ma un testa a testa.
Il significato di questi dati, che possono sembrare soltanto numeri anche un po’ noiosi, è un cambiamento di prospettiva e di costume finanziari. Chi ha un po’ di anni sulle spalle ricorda il tempo in cui bastavano i titoli di Stato per fare quasi tutto. Oggi, anche se i Btp sono tra le emissioni pubbliche europee con i rendimenti più elevati, è impossibile chiedere ai vecchi, cari titoli del Tesoro di tenere al caldo il futuro dei risparmi di famiglia. Per avere più dell’1 per cento bisogna investire in quelli con più di dieci anni di vita. La prima grande marcia dei fondi comuni nei portafogli italiani è datata anni Novanta. Quella che silenziosamente avanza adesso è l’ondata numero due. Non proseguirà con i ritmi visti finora, ma l’incertezza, tornata in scena nella seconda parte del 2016, ne ha solo rallentato il passo. Senza interrompere il fenomeno.
Oggi, come accadde vent’anni fa, le banche e gli intermediari finanziari hanno proposto ai privati di convertire in risparmio gestito i titoli dei depositi amministrati; fare raccolta diretta con le obbligazioni, inoltre, non è poi così vitale. Almeno fino a quando la Bce fornisce la liquidità necessaria nell’ambito del complesso programma di stimolo per l’economia malata dell’Europa. Dal punto di vista dei risparmiatori, invece, la ricerca di un rendimento superiore al punto percentuale è diventata un rebus difficile da risolvere senza i fondi. Ovvero senza portafogli “comuni” composti da centinaia di titoli che consentono anche a chi ha risorse limitate di investire in azioni o su mercati lontani.
Una sorta di viaggio organizzato per i soldi di famiglia dove si corrono dei rischi e si pagano commissioni. Che il tutto risulti adeguato dipende dalla consapevolezza di chi investe e dalle capacità professionali dell’industria che colloca. Il passato “semplice” dei Btp è definitivamente archiviato. Il presente dei rendimenti zero e dei fondi sta scorrendo e presto si trasformerà in qualche altra cosa. Tra non molto, per esempio, chi investe dovrà ri-imparare a fare i conti con l’inflazione, il costo della vita che, quando cresce a tassi normali, erode il valore degli investimenti.
Il costo del denaro e l’andamento economico della Cina sono tra i due principali fattori dell’andamento delle borse valori, mentre l’oro nero influenzerà l’andamento economico del 2017.
Come sarà il portafoglio delle famiglie italiane nel futuro? Nel 2017 sono arrivati i piani individuali di risparmio (Pir), fondi che investono in azioni e obbligazioni di aziende italiane in cambio, a certe condizioni, di un totale azzeramento delle tasse sui guadagni. Da molto tempo mercato e regole non offrivano strumenti nuovi, che, nel caso dei Pir, hanno avuto un discreto successo in altri paesi. Più in generale nei prossimi decenni è facile prevedere che diventeranno sempre più importanti le valenze pratiche del risparmio. Con pensioni pubbliche magre e un mondo del lavoro che spesso non offre quei percorsi lineari decisivi per costruirsi una buona previdenza, il risparmio sarà sempre più una cosa buona da fare per tutti.
Negli ultimi anni si è registrato un boom dei fondi integrativi per la pensione, complice il fatto che a spingere sulla previdenza complementare ormai sono tutti, aziende, sindacati e lo stesso Inps. Anche i piani individuali previdenziali (Pip) registrano una costante crescita.
In questi ultimi mesi cresce anche l’interesse ad investire in energia pulita da fonti rinnovabili: un fondo comune di energia “green” può essere un buon modo per fare questo tipo di investimento in modo semplice, ed è anche alla portata di un investitore meno esperto. I fondi che investono in energia pulita rinnovabile permettono di acquistare un portafoglio preconfigurato e diversificato nel settore.
Francesco Megna, autore di questo articolo, è funzionario di banca, area Corporate
L’articolo è pubblicato da Tempi.it
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