Benigni, un Oscar ad honorem per i debiti pagati dallo Stato

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«Report» indaga sull’acquisizione  pubblica di Cinecittà. «Comprati anche gli studi in rovina dell’attore e sua moglie»

Milano 19 Aprile – La vita è bella, ma gli affari sono affari. Anche per Roberto Benigni, premio Oscar nonché testìmonial di punta di Matteo Renzi nel referendum costituzionale sepolto da una valanga di No. La frase del paladino della «Costituzione più bella del mondo»resta scolpita sulla lapide della débacle: «Se vince il No sarà peggio della Brexit. Possiamo stare sereni se vince il Sì. Bisogna pensare al bene degli italiani». Come la pensassero gli italiani, lo abbiamo visto. Non sempre a Benigni le cose vanno per il verso giusto e non soltanto per quanto riguarda le sponsorizzazioni politiche.
Anche negli affari al comico toscano non è andata meglio , stando a quando ha raccontato ieri sera la trasmissione Report su Raitre. Nonostante la diffida ai vertici della Rai dell’avvocato di Benigni, che si chiama Michele Gentiloni Silveri e già annuncia una richiesta per danni. Il cognome del legale ricorda qualcuno? Trattasi del cugino del report-benignipresidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ma questo ovviamente non c’entra nulla.

In sintesi questa la vicenda, per come l’ha spiegata Report: dopo il successone de La vita è bella, Benigni decide di aprire a Terni, all’interno di una fabbrica abbandonata di proprietà del Comune a Papigno, i suoi studi cinematografici. L’esperimento però va male. La sua società di gestione dei teatri di posa umbri accumula perdite per oltre l milione e mezzo di euro e il regista rischia di rimettercene 5. A salvarlo arriva Cinecittà Studios, l’impresa di proprietà di Luigi Abete, Aurelio De Laurentiis e Diego Della Valle che nel 1997 ha acquisito la gestione dei leggendari teatri di posa romani. Compra parte delle quote di Benigni – stando alla ricostruzione di Report – e si fa carico dei 5 milioni di euro, iscritti a bilancio come debiti verso controllanti. Nell’occasione il comico toscano dichiarò, con una certa dose d’ottimismo: «Spero che Cinecittà diventi addirittura una filiale di Papigno, è giusto? Diventerà Umbria studios, Cinecittà sotto».

Tuttavia, nonostante lo sbarco di Cinecittà nella compagine societaria, le cose a Terni non vanno meglio. Dal 2005 a oggi i ricavi dell’azienda del premio Oscar dipenderebbero infatti esclusivamente dal canone che la stessa Cinecittà ha versato ogni anno per l’utilizzo esclusivo degli studi ternani, sebbene le riprese di film si siano interrotte da tempo. I teatri di posa di Terni, per i quali il Comune e la Comunità europea hanno investito un patrimonio in bonifiche e ristrutturazioni (quantificato in 16 milioni di euro dalla trasmissione Rai, cifra contestata da Benigni), sono oggi completamente abbandonati. Ci vanno solo i ladri a rubare cavi elettrici e rame. Inoltre circa 200 lavoratori hanno perso il posto.

E adesso Cinecittà sta per  tornare in mani pubbliche. In mano a quello Stato che si troverà, dunque, a fronteggiare il maxi debito accumulato da Benigni. Perché il salvataggio della società del comico s’innesta nella strana vicenda di Cinecittà: prima venduta dallo Stato per poi riprendersela. Nel 1997 sotto la spinta delle privatizzazioni fu avviato, infatti, l’affitto di un ramo d’azienda, con il governo Prodi. Nel 2008 fu perfezionata la cessione sotto il ministero di Francesco Rutelli. Ora la stiamo per ricomprare, si dice per 20 milioni di euro, ma in quali condizioni? Si chiede Report. Cinecittà avrebbe infatti debiti per 32milioni oltre a ingenti contenziosi per affitti non pagati.

La storia, raccontata dal giornalista Giorgio Mottola, s’intitola non a caso Si salva chi può. «Dopo aver girato a Terni La vita è Bella, Benigni e Nicoletta Braschi», spiega Mottola, «propongono all’amministrazione locale di aprire i loro studios-papigno-terni5studi cinematografici nella frazione di Papigno, all’interno di una fabbrica abbandonata di proprietà del Comune. Benigni ha da poco vinto l’Oscar e vengono avviati subito i lavori di bonifica e di ristrutturazione. Quanti soldi pubblici sono stati messi nell’ ex fabbrìca? ».

Una prima risposta viene dal sindaco di Terni, Leopoldo Di Girolamo: «Ci sono soldi provenienti dall’Europa, ci sono soldi messi sia dallo Stato, che dalla Regione, che dal Comune, che sono stati invece destinati specificamente a recuperare gli immobili per poterne fare un uso come teatri di posa. Complessivamente un po’ di più di 10 milioni di euro». Una cifra corretta al rialzo da Enrico Melasecche, vicesindaco  della città tra il 1997e  il 1998: «Molti di più se consideriamo che nel parallelo centro multimediale ne abbiamo investiti altrettanti, perché un polo e l’altro dovevano essere il fulcro dello sviluppo cinematografico di Terni». Infatti l’entusiasmo suscitato dall’arrivo di Benigni fu tale che l’Università di Perugia aprì a Terni una succursale, un corso di laurea in Scienze della produzione artistica, con oltre 500 iscritti. Oggi anche l’ateneo ha chiuso i battenti.

Ma cosa è successo precisamente? Spiega Report: nel 2005, dopo il mancato successo di Pinocchio e La tigre e la neve, Benigni ci ripensa. E, a sorpresa, avvia la cessione di quote della società di gestione dei teatri di Papigno a Cinecittà Studios. «Ha fatto due conti, evidentemente, han trovato molto più comodo andarsene », denuncia ancora Enrico Melasecche», e lasciare la patata bollente in mano ad altri. Agli amici anche, che in qualche modo, diciamo, in consonanza politica, in qualche modo si sono assunti la responsabilità di farlo andar via, lasciando poi la città in braghe di tela».Quanti erano i debiti? Sempre secondo Report, la società era messa molto male, tant’è che negli ultimi 3 anni aveva accumulato perdite per oltre l milione e mezzo. E se le cose fossero continuate così, Benigni rischiava di rimetterci ben 5 milioni di euro, iscritti a bilancio come debito verso controllante.

Ma Cinecittà Studios compra le quote della società, accollandosi i 5 milioni di euro del premio Oscar. Dopodiché a Terni non è stato girato più nulla: non un film, neppure uno spot pubblicitario. Nel servizio si dice anche che sono rimaste senza lavoro 200 persone che avevano il posto fisso, inoltre ci sono anche le cosiddette maestranze: comparse, truccatori, parrucchieri, macchinisti, elettricisti, aiuto scenografi. Che con Benigni, nonostante le richieste, non sono mai riusciti a parlare. Ci sono però riusciti i giornalisti della trasmissione di Sigfrido Ranucci, che hanno chiesto al comico: «Come ha fatto a non rimetterci neanche un euro nella vicenda dei teatri di posa di Terni?», La risposta è stata uno sconsolante e sfuggente «se ti racconto  quanto ci ho rimesso…»,

Alfredo Arduino (La Verità)

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